venerdì 17 dicembre 2010

La Vera Verità e Tre Evidenti Falsità

Caro Mass,
permetti che anche io possa esprimermi sul momento di pathos vero che attraversa la vita pubblica italiana.
Tutti i maggiori osservatori sono concentrati nell’esame minuzioso del significato e delle conseguenze del voto parlamentare di martedì scorso. Lucidissimi e profondi i commenti di Ferrara, di Travaglio, di Feltri, di Romano. Etc. Stupisce, tuttavia, che pochi hanno rilevato i soli tre veramente grandi significati del voto alla Camera del 14 dicembre.
1. Si dice che in Italia non facciamo più figli. Falso! Le deputate sono 133 (su 630). Di queste ben tre si sono recate (perfino in carrozzella) a votare la fiducia/sfiducia in avanzatissimo stato di gravidanza. Senza
 considerare eventuali ulteriori gravidanze meno avanzate e non rese pubbliche, la Camera si rivela nicchia di eccellenza, per lo meno in tema di tasso di natalità.
2. Si dice che l’Italia non valorizzi le proprie tradizioni e le sue radici. Falso! Nell’era del trionfo dell’elettronica l’Italia, meglio il Parlamento o la politica, resta saldamente ancorata al pallottoliere, anzi all’abaco.
3. Si dice che l’Italia, anzi Roma e la funzione pubblica incarnata da Roma, sia la quintessenza dell’Assenteismo. Falso! Alla Camera, al voto del 14 dicembre, si sono presentati ben 628 deputati su 630. Percentuali bulgare, si sarebbe detto in altri tempi.
E ciò mentre Berta filava, come cantava Rino Gaetano, in evidente antitesi a Orietta Berti (fin che la barca va …)
Tuo
Gustavo


Nell'immagine: "La Lotteria in Piazza di Montecitorio", dipinto di G. P. Panini  (1691-1765) ora alla National Gallery di Londra
 
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domenica 5 dicembre 2010

La Dritta

“Fate luogo voi, la diritta è mia” fa dire Alessandro Manzoni al futuro Fra Cristoforo, nel capitolo IV de I Promessi Sposi. Ambedue, racconta Manzoni, camminavano rasente al muro, tuttavia Fra Cristoforo lo strisciava col lato destro che, secondo una consuetudine allora in voga, gli dava il diritto di non staccarsi dal muro. L’altro pretendeva invece l’opposto: che il ‘diritto alla dritta’ spettasse a lui in quanto nobile.
Ma quale è la “dritta” e perché in molti paesi si guida a destra ed in altri a sinistra?
In epoca medioevale era consuetudine viaggiare sulla sinistra per essere in posizione vantaggiosa per l’eventuale (e frequente) uso della spada. In tal maniera si limitava anche la possibilità che il fodero, indossato sulla sinistra, colpisse le persone che camminavano in senso opposto. Inoltre, la spada posta sul lato sinistro del corpo rendeva più agevole salire a cavallo.
Si fa, tuttavia, risalire a papa Bonifacio VIII (quello del Giubileo del 1300) la prima formalizzazione dell'obbligo di viaggiare sul lato sinistro della strada.
Successivamente, nel 1773, gli inglesi introdussero un “codice della strada” che confermava il lato sinistro come quello sul quale procedere. Nel frattempo, tuttavia, si avventò sull’Europa il “Tornado Napoleonico” e, nel 1794, a Parigi fu emanata una legge che imponeva di procedere sulla destra.
Tale norma certamente rispondeva alla “esigenza” napoleonica di andar contro gli inglesi in qualunque maniera, ma in realtà essa accoglieva anche una pratica già molto diffusa in Francia e negli “alleati” Stati Uniti: il trasporto di grandi quantitativi di prodotti agricoli in giganteschi vagoni trainati da numerosi cavalli. Questi convogli non prevedevano un sedile per il conducente che, infatti, sedeva sull’ultimo cavallo a sinistra, posizione che gli consentiva di frustare i cavalli col braccio destro e controllare che le ruote dei carri provenienti dal lato opposto (che quindi passavano sulla sinistra) non si toccassero con quelle del proprio convoglio.
Napoleone conquistò gran parte dell’Europa continentale ove, quindi, fu adottata tale norma. La pratica della guida a sinistra continua invece ancora oggi in Inghilterra ed in tutti i paesi colonizzati o, comunque, sottoposti all’influenza inglese, salvo che in Scandinavia ove, nel 1967, si optò per la guida a destra.

sabato 27 novembre 2010

Privacy Vs Condivisione

Probabilmente il più giovane miliardario al mondo, il ventiseienne Mark Zuckerberg è soprattutto conosciuto per aver creato Facebook. Il suo social network ha saputo intercettare e dare una risposta al bisogno primario di relazione e di condivisione, proprio dell’uomo.
Facebook, tuttavia, rappresenta anche l’essenza stessa di internet: la connessione tra persone, ovunque esse siano, anche con la possibile fruizione di servizi ‘nuovi’ che, in realtà lo stanno trasformando in qualcosa di ancora più ricco e sofisticato.
A differenza, ad esempio, della televisione – unidirezionale – il web consente una forma di partecipazione assolutamente nuova: permette di entrare in contatto con chiunque, di partecipare a discussioni su platee sempre più ampie, di interloquire in maniera diretta assolutamente con chicchessia, come dimostrano la possibilità di inviare una e-mail direttamente anche al presidente degli Stati Uniti, oppure i successi in termini di “amicizia” perfino della Regina Elisabetta.
E ciò non è che l’inizio, considerati i cambiamenti ulteriori che saranno introdotti da internet, che diventerà una esperienza sempre più personale, con la tendenza a costruire progetti – e prodotti - attorno ai desideri ed alle necessità della gente.
Tale evoluzione, di per sé assolutamente positiva, comporta tuttavia cambiamenti dai molteplici aspetti: il concetto stesso di privacy evolve profondamente. Nel passato nessuno desiderava che i propri dati fossero pubblici, oggi è impressionante il numero di persone che rende disponibile il numero del proprio cellulare su Facebook. Per la mia generazione la privacy era (ed è tuttora) un valore: per i più giovani fruitori di Facebook condividere sembra esser il “nuovo” valore. Certamente ciascuno può decidere liberamente cosa fare dei propri dati, nei fatti si è in un ingranaggio di “condivisione” sempre più interattivo e personalizzato.
Forse dovremo esser pronti ad accettare una “invadenza” sempre più accentuata, frutto di un mondo altamente tecnologico, con media sempre più raffinati e vicini. Potremo accedervi da ogni terminale (computer, tablet, smartphone, televisori digitali, console per giochi, etc.) al quale cederemo, però, una elevata possibilità di entrare anche profondamente nella nostra sfera (ex) privata.

 

domenica 14 novembre 2010

Quod Non Fecerunt Barbari…

Maffeo Barberini, divenuto Papa Urbano VIII, commissionò a Gian Lorenzo Bernini (che per l’occasione godette della collaborazione di numerosi artisti, tra cui il suo ‘rivale’ Francesco Borromini) il Baldacchino di San Pietro, imponente monumento barocco, ideato per segnare il luogo del sepolcro di San Pietro.
Per la realizzazione dell’opera furono necessari dieci anni (1623 – 1633) e, soprattutto, si dovette ricorrere ad una nuova spoliazione del Pantheon, dal quale furono asportati e fusi gli antichi bronzi di sculture poste sul frontone ed elementi di copertura del pronao.
Giulio Mancini, medico di Urbano VIII, commentò la scellerata decisione con la celebre “quod non fecerunt Barbari, fecerunt Barberini”, volendo con ciò porre l’accento sulla smisurata ambizione della famiglia del pontefice che, pur di autocelebrarsi con monumenti spettacolari, non si fermava neppure di fronte al danneggiamento di uno dei monumenti più importanti dell’Urbe.
Tuttavia, la magnifica opera di Bernini – monumento che fonde scultura ed architettura con l’allegorica rappresentazione di colonne tortili (come nel Tempio di Salomone), del ciborio della preesistente basilica di San Pietro, delle fasi del parto attraverso espressioni diverse di un volto femminile, la passione per la poesia di Papa Urbano mediante tralci di lauro, l’omaggio al casato del papa con la rappresentazione delle api, presenti nello stemma dei Barberini - certamente non giustifica, ma almeno nobilita la spoliazione del monumento dell’imperatore Adriano.
Diversa è, invece, la “spoliazione” alla quale assistiamo oggi, frutto di incuria, più che del desiderio di smodata autocelebrazione. Ci si è, purtroppo, abituati ai crolli della Domus Aurea o di pezzi anche importanti di Mura Aureliane (che hanno sopportato per diciassette secoli quasi ogni assalto barbaro) ma dovevamo ancora assistere al crollo di un monumento che aveva resistito perfino alla forza della natura, all’eruzione del Vesuvio dell’estate 79 d.C.
Ecco, allora, il crollo, per incuria, della “Schola Armaturarum Juventis Pompeiani”, comunemente conosciuta come la Casa dei Gladiatori.
Il monumento si trovava nel corso principale dell’antica Pompei, la via dell’Abbondanza (beffa del fato!), e in origine ospitava gli armadi lignei dove venivano conservate le armi dei gladiatori. Al suo interno la “juventus pompeiana” si allenava alla lotta.
Le mura esterne erano decorate con gli affreschi dei gladiatori, mentre all’ingresso si potevano ammirare due pilastri istoriati con trofei, in ricordo di Augusto: quello di sinistra con armi accatastate ai piedi di un tronco e, in basso, una tunica decorata con tritoni e grifi alati. Sopra, un elmo e ai lati alcune lance. In alto, una tunica rossa. Sul pilastro di destra scudi e lance circondavano un carro ricoperto da una pelliccia di orso bianco.
Quod non fecerunt Barbari….

 
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sabato 6 novembre 2010

Pornocrazia

È stato Liutprando (920-972), storico e vescovo di Cremona, a definire ‘pornocrazia’ il modello di potere le cui fila erano abilmente manovrate da Marozia, figlia di Teofilatto, senatore romano e conte di Tuscolo, e Teodora, “prostituta spudorata” secondo lo stesso Liutprando.
Si racconta che Marozia fosse molto bella ma, soprattutto, che sapesse usare con raffinata perfidia e sconfinata ambizione quanto la natura le aveva regalato. Marozia è divenuta l’icona della depravazione: animatrice d’una fitta catena di crimini, incesti ed intrighi, lussuriosa amante di pontefici e politica abilissima. Il papa Giovanni X, la cui alcova era stata frequentata anche da Teodora, madre di Marozia, la insignì del titolo di “Senatrix Omnium Romanorum”, appellandola perfino “Patricia”.
A quindici anni Marozia era già la concubina del papa Sergio III, cugino di suo padre, e nel 910 da tale relazione nacque Giovanni, il futuro papa Giovanni XI.

Dopo la morte del primo marito, Alberico I duca di Spoleto, Marozia sposa Guido, marchese di Toscana, grande oppositore di Giovanni X che, infatti, Marozia e Guido faranno deporre e rinchiudere in Castel Sant’Angelo, ove Giovanni troverà la morte per strangolamento. Dopo i brevi pontificati di Leone VI e Stefano VII, Marozia riesce a far salire sul trono di Pietro Giovanni XI, nato dalla sua relazione con Sergio III. Giovanni ha solo ventuno anni, un temperamento fragile e molta inesperienza. Sarà, pertanto, la madre a governare per suo conto, facendo così nascere la leggenda della “papessa Giovanna”, vale a dire di una donna che in vesti maschili governò per un certo periodo la chiesa di Roma.
Marozia, nel 932, convola a nuove nozze, questa volta con Ugo di Provenza, eletto re d’Italia, che Gregorovius descrive come perfido e maestro di intrighi, dissoluto e avido, audace e privo di scrupoli, teso soltanto ad ampliare il suo regno italico, anche con i mezzi più sleali.
Ugo era il più genuino rappresentante del suo tempo, ma anche Marozia lo è: i due formarono senza dubbio una coppia assai rappresentativa della loro epoca.
Nel “de oratore”, Cicerone ci insegna che la storia è testimone dei tempi, luce della verità, maestra di vita. Qualche volta si ripete, ma spesso le repliche non sono all’altezza dell’originale.

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domenica 24 ottobre 2010

Matteo Ricci: la ricchezza dalla diversità

Marco Polo è certamente il più famoso italiano d’Asia. Purtroppo, a volte il suo ruolo viene ridotto alla diatriba sugli spaghetti-noodles: ovvero se Marco Polo abbia portato gli spaghetti in Asia oppure i noodles in Europa (dimenticando che già Cicerone mangiava le “lagana”, nonne delle nostre lasagne). Per giunta, una cospicua corrente storiografica inglese mette addirittura in dubbio l’esistenza di Marco Polo (“il Milione” in verità è stato dettato a Rustichello nel carcere di Pisa, non essendo Marco Polo in grado di scrivere) tralasciando, però, che in quel periodo la comunità di affari italiana (veneziana in primis) a Pechino contava circa 700 unità.
Non vi è dubbio, tuttavia, che il più grande italiano in Asia sia stato Matteo Ricci, gesuita marchigiano (Macerata, 8 ottobre 1552) del quale, peraltro, ricorrono quest’anno i 400 anni dalla morte, avvenuta a Pechino l’11 maggio 1610.

Il giovane Matteo raggiunse Goa, nel 1578, dove completò gli studi e fu ordinato sacerdote. Quattro anni dopo, destinato all’evangelizzazione della Cina, raggiunse Macao, ove apprese il cinese, per poi trasferirsi a Kao-yao e, in seguito, a Nanchino “la più bella e la più grande città al mondo”, secondo Marco Polo, che vi era giunto 315 prima.
Matteo Ricci parlava, leggeva e scriveva correttamente il cinese classico e aveva assunto il nome cinese di Li Madou. Egli godeva di molto rispetto ed alta reputazione per le sue conoscenze scientifiche, innanzitutto matematiche ed astronomiche. Quando previde l’eclissi solare, la sua fama crebbe al punto che, nel 1601, l’Imperatore Wan Li lo designò al ruolo di Consigliere della Corte Imperiale, divenendo così il primo occidentale ad accedere alla “Città Proibita”.
Tuttavia, sebbene Matteo Ricci avesse libero accesso alla Città Proibita, mai egli ebbe l’opportunità di incontrare di persona l’Imperatore che, comunque, gli aveva assegnato un generoso appannaggio, che si rivelò fondamentale per lo stabilimento dei Gesuiti in Cina.
Ricci apprezzava molto la cultura cinese, pur condannando la prostituzione largamente praticata nella Pechino dell’epoca. Egli individuò nei ‘valori confuciani’ il mezzo per spiegare il cristianesimo che, nella sua predicazione, divenne non qualcosa di nuovo ed estraneo, ma semplicemente la maniera più perfetta per manifestare la propria religiosità: infatti, il carattere che rappresenta il Dio del Paradiso cinese - 天主 - è identico a quello di Dio.
Matteo Ricci morì a Pechino l’11 maggio 1610, all’età di 58 anni. Le leggi della Dinastia Ming prevedevano che gli stranieri che morivano in Cina fossero sepolti a Macao. Tuttavia, in considerazione dell’alto contributo di Matteo Ricci alla Cina, l’Imperatore Wan Li concesse che egli fosse sepolto a Pechino, destinando a ciò un tempio buddista – divenuto poi noto come il Cimitero di Zhalan - ove, in seguito, trovarono sepoltura anche altri gesuiti.
Matteo Ricci è autore profondo di opere di matematica, di teologia e di filosofia in latino e in cinese che testimoniano la modernità di quest’uomo nato e vissuto in piena controriforma ma capace di intravedere e apprezzare gli aspetti più considerevoli delle diversità culturali, vera ricchezza per l’Uomo di ogni tempo.


Nell'immagine: Matteo Ricci ritratto in abiti cinesi

venerdì 15 ottobre 2010

UN (ALTRO) PRIMATO CHE NON CI APPARTIENE

Per qualcuno sono magici, altri li considerano veri e propri divi, comunque nessuno dubita che siano ottimamente pagati e riescano ad accumulare (ed a spendere) denaro in misura ragguardevole. I campioni dello sport rappresentano certamente un’icona del nostro tempo ed i loro compensi finiscono per incuriosire e formare oggetto del desiderio per folte schiere di ammiratori.
Il golfista Tiger Woods, secondo la prestigiosa rivista Forbes, ha già superato il miliardo di dollari di guadagni, quindi, molto più dei pur decorosamente pagati Michael Jordan e Michael Schumacher. Tuttavia, tali ragguardevoli guadagni sembrano non esser all’altezza dei compensi percepiti nell’antica Roma dagli aurughi. Gaio Apuleio Diocle nel secondo secolo dopo Cristo ha vinto 35.863.120 sesterzi (equiparabili a circa 15 miliardi di dollari odierni): tanto riporta Peter Struck in un articolo pubblicato sulla rivista di storia Lapham's Quarterly, sulla base di una iscrizione su marmo, rinvenuta in un monumento funebre eretto a Roma da 146 ammirati colleghi aurighi del grande Gaio Apuleio Diocle.

Questi, di origini ispaniche, cominciò a gareggiare per la squadra Bianca all’età di 18 anni. Dopo sei anni, passò alla squadra Verde, per approdare, ormai ventisettenne, al Team Rosso per il quale ha gareggiato - "campione di tutti i carri" -  fino al suo ritiro all'età di "42 anni, 7 mesi e 23 giorni". Caio Apuleio Diocle ha vinto 1.462 delle 4.257 gare alle quali ha preso parte, vittorie che, come detto, gli hanno fruttato la considerevole cifra di 36 milioni di sesterzi.
Dobbiamo principalmente a Tacito e Svetonio la descrizione dello svolgimento e più ancora del significato e dell’importanza delle corse presso i romani. Curioso apprendere che l’imperatore Caligola, acceso tifoso dei Verdi, giunse a far avvelenare cavalli ed aurighi avversari per favorire la propria squadra. Il Circo Massimo, ove avevan luogo le manifestazioni sportive di maggior rilievo,  poteva ospitare fino a 250mila spettatori i quali, se plebei, erano disposti a mettersi in coda sin dal giorno prima per ottenere buoni posti. Gli aristocratici, invece, potevano godere di tribune loro riservate. Considerato che tali spettacoli rappresentavano eccellenti occasioni per incontri con signore dell’aristocrazia, Ovidio raccomanda di prestare molta attenzione a dove prender posto, magari “lasciando indugiare la propria mano nel ravvivare e render più soffice il cuscino del sedile della signora”.
Insomma, non solo non abbiamo creato gli sportivi più pagati di sempre, ma nemmeno la ‘mano morta’ sembra esser una invenzione dei nostri tempi.

 
Nell'immagine il Circo Massimo di Roma
 
 
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sabato 2 ottobre 2010

Un Intreccio Magico

David Godwin, un australiano con la passione (da me orgogliosamente condivisa !) per la MG, ha realizzato un sogno: assieme ad altri sei equipaggi, di età compresa tra i 54 ed i 70 anni, ha percorso in MG l’antica ‘Via della Seta’, dalla Cina fino al Regno Unito, attraversando Kazakhstan, Kircyzstan, Uzbekistan, Turkmenistan, Iran, Turchia, Grecia, Albania, Montenegro, Croazia, Slovenia, finalmente l’Italia (accolti a Brescia dal Presidente dell’MG Club d’Italia), per poi proseguire, attraverso la Svizzera, la Germania e la Francia, verso Longbridge, nel Regno Unito, ove sono assemblate le moderne MG.

Alla magia della gloriosa auto sportiva, quindi, si è intrecciato il mito di quel percorso – la “Via della Seta” – che per secoli ha assicurato, il contatto, lo scambio, il passaggio, la contaminazione di culture, ancor più che di merci e mercati.
Fu il geografo tedesco Ferdinand von Richthofen, nel 1877, a definire “via della seta” il reticolo degli oltre ottomila chilometri che, con itinerari non sempre agevoli sia terrestri, che marittimi e fluviali, hanno consentito lo sviluppo del commercio e di ogni altro scambio tra l’impero cinese e l’Occidente.
Pur se già ai tempi di Erodoto (475 a.C. circa) i mercanti percorrevano agevolmente i tremila chilometri della ‘Via Reale Persiana’ compresi tra Ecbatana (oggi Hamedan), Susa (Shush) e fino al porto di Smirne (Izmir) sull’Egeo, occorre attendere Alessandro Magno (356 – 323 a.C.) e le sue conquiste in Asia centrale, fino alla valle dell’Indo ed oltre l’odierno Afganistan, perchè si arrivi a stabilire comunicazioni regolari tra Oriente ed Occidente.
Nearco, il magnifico ammiraglio di Alessandro, aprì una rotta dal delta dell’Indo al Golfo Persico, e successivamente furono i Tolemei, impadronitisi dell’Egitto, a promuovere attivamente le vie commerciali con la Mesopotamia e l’India, attraverso i loro porti sul Mar Rosso ed i percorsi terrestri dei loro carovanieri.
Talune fonti attribuiscono addirittura a Giulio Cesare, di ritorno dall’Anatolia (ma altri storici fanno risalire la ‘scoperta” alla disfatta di Crasso a Carre), l’aver portato a Roma alcune bandiere, catturate al nemico, di uno sfavillante tessuto ancora sconosciuto che suscitò uno straordinario interesse: era la seta!
Il Senato di Roma emanò, invano, diversi editti per proibire alle donne, ma anche agli uomini, di indossare la seta, stante la intrinseca decadenza ed immoralità di questo tessuto. Naturalmente, nulla poterono gli editti e la seta continuò ad arrivare a Roma con la intermediazione dei Parti e dei mercanti di Palmira e di Petra, grazie all’abilità dei marinai di Antiochia, di Tiro e di Sidone.

Ma sulla Via della seta hanno viaggiato anche molti influssi artistici, in particolare nella sua sezione dell’Asia Centrale, dove si sono potuti mescolare elementi ellenistici, iraniani, indiani e cinesi.
Perfino Borea, dio greco del vento, ha compiuto uno stupefacente viaggio sulla Via della Seta, attraverso l’Asia Centrale e la Cina, fino a diventare il dio giapponese shintoista del vento, denominato Fujin.
Ma Borea non viaggiava in MG. Non ancora!

 
 
Nelle Immagini: David Godwin e la sua meravigliosa MGA; la 'Via della Seta'; Il dio del vento: da Borea a Fūjin.
 
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sabato 25 settembre 2010

La drammatica fine di un'epoca

Non si era ancora spenta l’eco delle celebrazioni del Cinquantenario della XVII Olimpiade (Roma, 25 agosto - 11 settembre 1960), che Roma ha festeggiato il 140˚ anniversario della brecccia di Porta Pia, quindi della propria annessione al neonato Regno d’Italia e della sua elezione a capitale d’Italia. Non ha, invece, trovato molte opportunità il ricordo di un altro – drammatico - anniversario: i 1600 anni del Sacco di Roma ad opera dei Visigoti di Alarico.

La Porta Salaria fu aperta agli assedianti nella notte tra il 24 ed il 25 agosto 410 ed il sacco durò tre lunghissimi giorni e tre terribili notti. Poco fu risparmiato, nonostante Alarico avesse raccomandato moderazione e rispetto per i luoghi di culto. Alarico aveva posto il papa Innocenzo I sotto la propria protezione, ma questi dovette assistere impotente allo scempio compiuto dai Visigoti, a cui si erano uniti gli schiavi liberati ed assetati di vendetta.
Tra gli ostaggi fu catturata anche Galla Placida, sorella dell’imperatore d’Occidente Onorio, che presto fu impalmata dallo stesso Alarico e, alla morte di questi, sposerà il suo cognato Ataulfo.

L’Urbe non era stata violata dai tempi di Brenno, re dei Celti (390 a.C.), e nonostante non fosse più la capitale dell’Impero (a vantaggio di Ravenna per l’Occidente e di Costantipoli per l’Oriente), continuava ad esserne il centro: città cosmopolita, ricca e dinamica, straordinariamente capace di integrare ed amalgamare in perfetto equilibrio popoli e culture differenti.
L’epoca del sacco di Alarico era caratterizzata da cambiamenti profondi (qualcuno la paragona ai notri tempi!): un’epoca in cui nessun confine appariva ben definito: il ‘limes’, il confine dell’Impero, poteva variare anche di centinaia di chilometri, ma sopratutto le identità erano poco definite: i romani erano sempre più un po’ barbari ed i barbari sempre più romani. Varie popolazioni barbare si erano convertite al cristianesimo ed erano in grado di ben esprimersi in latino, mentre molta dell’elite romana era ormai per lo meno mista: Stilicone, il grande generale che lottò contro Alarico, era di madre romana ma di padre vandalo ed i suoi stessi legionari erano in maggiornaza barbari. Inoltre, se è vero che le invasioni barbariche erano in realtà migrazioni di interi popoli alla ricerca di nuove opportunità e nuove terre più ospitali e generose, è ugualmente vero che la stessa Roma avvertiva il bisogno di linfa nuova ed energie giovani per affrontare la sfida dei tempi ormai mutati.
Il sacco di Alarico non lacerò solo gli edifici dell’Urbe, quanto piuttosto il simbolo rappresentato da Roma di un potere ritenuto eterno. Sant’Agostino, nel ‘De Civitate Dei’, vide nel sacco di Alarico la punizione divina inflitta all’antica capitale del paganesimo ed il segno della imminente fine del mondo.
Ci vollero anni per comprendere la portata reale del gesto di Alarico: ben al di là delle pure imponenti spoliazioni, tutto era cambiato nel profondo ed una nuova epoca era cominciata.

 
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sabato 18 settembre 2010

Un Riconoscimento Prestigioso

È considerata sinonimo di equilibrio e, addirittura, fonte di sana longevità, ma in pochi avevano immaginato che la ‘Dieta Mediterranea’ potesse esser annoverata tra i beni universali, aggiunta al Patrimonio Mondiale dell’Umanità da salvaguardare e proteggere.

Dobbiamo ad Ancel Keys la definizione di “dieta mediterranea”. Lo studioso americano, in Italia durante la seconda guerra mondiale, aveva rilevato la ridotta incidenza di malattie cardiovascolari tra le popolazioni del Mediterraneo, profondamente caratterizzate da abitudini alimentari legate alle tradizianali culture del grano, dell’ulivo e della vite (triade alimentare peraltro ripresa anche nel simbolismo cristiano del pane, del vino e dell’olio).
Cosi come in natura, infatti, sulla tavola mediterranea non compaiono alimenti che contengono sia amidi che grassi, alimenti che comunque – altra caratteristica fondamentale della tradizione mediterranea - sono consumati sul luogo di produzione, secondo la loro stagionalità e senza manipolazione.
Alla Dieta Mediterranea, stile di vita sostenibile basato sull’insieme di pratiche alimentari, conoscenze e competenze tradizionali, trasmesse di generazione in generazione, l’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, attribuirà nel prossimo novembre il più prestigioso dei suoi riconoscimenti: l’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale Immateriale dell’Umanità da proteggere, salvaguardare e trasmettere alle future generazioni.

La prestigiosa Lista dell’Unesco, che raccoglie gli elementi immateriali considerati unici al mondo, attualmente consta di 166 elementi (tra cui il Samba brasiliano ed il Kris indonesiano) di cui solo 2 italiani: l’opera dei pupi siciliani e il canto a tenore sardo. La Dieta mediterranea diventerà così il terzo elemento italiano.
L’importante riconoscimento (che con l’Italia premierà anche la Grecia, la Spagna ed il Marocco: tutti paesi proponenti, coordinati dall’Italia) supera la concezione, evidentemente ora considerata arcaica, della cultura legata alla materialità degli elementi, introducendo il patrimonio intangibile, fatto anche di tradizioni e pratiche agro-alimentari, valori particolarmente importanti nella nostra cultura che, quindi, meritano attenzione, salvaguardia e valorizzazione al pari dei beni materiali.


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sabato 14 agosto 2010

Feriae Augusti

Istituito nel 18 a.C. dall’Imperatore Ottaviano Augusto, il ‘Riposo di Augusto’ (Feriae Augusti, da cui Ferragosto) celebrava, alle calende di agosto, la fine della intensa stagione dei raccolti e dei principali lavori agricoli. Tuttora, in talune regioni a forte vocazione agricola, è in questo giorno che si regolano i contratti e si onorano le transazioni.
In realtà, tale festa si aggiungeva alle numerose altre che costellavano l’intero mese di agosto con la finalità di offrire un adeguato periodo di riposo, dopo le fatiche profuse per i vari raccolti.
Il 13 agosto, ad esempio, ricorreva la festa di Diana, la regina delle selve, al cui tempio sull’Aventino convenivano la mattina del giorno della festa padroni e schiavi, senza distinzione di casta. Per tutto l’anno le donne avevano appeso alle pareti del tempio tavolette votive e la avevano invocata come Lucina, protettrice dei parti.
Nello stesso giorno veniva celebrato anche Vortumno, dio preposto alla trasformazione ed al mutamento ciclico che determinava le stagioni e faceva maturare i frutti. “Grazie a me – gli fa dire Properzio nelle Elegie – si azzurrano i grappoli della prima uva e la spiga si gonfia di latice. Puoi vedere qui le dolci ciligie, le prugne d’autunno, le more arrossate al sole dell’estate; qui con corone di frutti l’innestatore viene a pagare il suo voto”.
Il 17 seguiva la festa in onore di Portuno, il dio dei porti e delle porte, apparentato quindi a Giano, significativamente festeggiato nel medesimo giorno, mentre il 19 si celebravano le Vinali Rustiche, dedicate a Venere. “Si dà il nome di Vinali Rustiche al 19 agosto – spiega Varrone – perché in quel giorno si dedicò un tempio a Venere e a questa dea sono sacri gli orti: onde è il giorno di festa per gli ortolani”. In tale giorno si indiceva anche la futura vendemmia.
Il 21, invece, era consacrato a Conso, dio del raccolto immagazzinato, ed il 23 a Openconsiva, l’abbondanza agricola personificata. Infine, le sagre di agosto si chiudevano con un nuovo sacrificio a Vortumno.

Nel corso degli interi festeggiamenti, in tutto l'impero, venivano organizzate corse di cavalli e gli animali da tiro, asini e muli, venivano dispensati dal lavoro e agghindati con fiori.
E tale spirito del riposo e perfino talune forme di celebrazione rivivono intatte nel nostro ‘Ferragosto’.

domenica 25 luglio 2010

Dopo Icaro

Il 21 luglio ricorre l’anniversario del primo sbarco dell’uomo sulla Luna. Infatti, alle 4,57 ora italiana di questo giorno del 1969, dopo un viaggio di tre giorni, Neil Armstrong mise il piede sulla superficie del Mare della Tranquillità, pronunciado la celebre frase "Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l'umanità". Subito dopo, fu raggiunto da Edwin Aldrin, mentre un terzo astronauta, Michael Collins, restò sul “Columbia” in orbita intorno alla Luna.
La permanenza dei primi astronauti sulla Luna durò 21 ore e 36 minuti. Essi eseguirono foto, prelevarono campioni lunari e lasciarono sulla Luna 77 Kg di strumenti scientifici: per la rilevazione dell'attività sismica, della temperatura, del magnetismo. Venne anche installato un riflettore laser per la misurazione della distanza Terra-Luna.

Lo sforzo scientifico legato alla realizzazione di tale “avventura” ci ha regalato i microprocessori per i computer, i forni a microonde, il teflon, le ceramiche termiche per i motori delle auto e degli aerei, le fibre ottiche per le telecomunicazioni e numerosi altri oggetti ormai divenuti di uso comune.
Ma chi sono i precursori di Neil Armstrong?
La mitologia classica ci ha tramandato la figura di Icaro, figlio di Dedalo e di Naucrate. Dopo aver fatto costruire da Dedalo e da Icaro il Labirinto, ove tenere il Minotauro, il re di Creta Minosse pensò bene di rinchiudere Dedalo e Icaro nel Labirinto stesso, per non permetter loro di svelarne il segreto. Per scappare, Dedalo costruì delle ali con delle penne e le attaccò ai loro corpi con la cera. Malgrado gli avvertimenti del padre di non volare troppo alto, Icaro si lasciò prendere dall'ebbrezza del volo avvicnandosi troppo al sole. Il calore fuse la cera, facendo cadere Icaro in mare, ove egli morì.
Meno mitologica la realizzazione dei fratelli Joseph e Jacque Montgolfier, rampolli di una famiglia di ricchi fabbricanti di carta ad Annonay, non lontano da Lione. Peraltro, in loro onore fu chiamato ‘mongolfiera’ il pallone aerostatico che vola grazie all’aria calda.

A seguito dell’osservazione sul moto di sollevamento di alcuni panni che posti ad asciugare sopra un fuoco si sollevavano ripetutamente verso l'alto, Joseph cominciò a considerare la possibilità di costruire una macchina volante.
Il 4 giugno del 1783, dinanzi ad un gruppo di notabili, l'aerostato fu fatto volare nella prima dimostrazione pubblica ad Annonay. Il volo coprì circa 2km, durò 10 minuti e raggiunse un'altitudine stimata in circa 1.600 metri. Il successivo 19 settembre, fu fatto volare l' "Aerostate Révellion” con a bordo i primi aeronauti viventi: una pecora, un'oca ed un gallo. Questa dimostrazione ebbe luogo di fronte a un'immensa folla raccolta a Versailles, presenti il Re Luigi XVI e la Regina Maria Antonietta. Il volo durò circa 8 minuti, coprendo quasi 3 km e raggiungendo un’altezza stimata in circa 500 metri.
Per tale loro invenzione il Re Luigi XVI nominò i fratelli Montgolfier membri straordinari dell' Accademia delle Scienze di Parigi, mentre il padre Pierre ricevette il titolo nobiliare ereditario de Montgolfier.
Il 21 novembre 1783 Pilâtre de Rozier e il marchese d'Arlandes realizzarono il primo volo umano, coprendo in 25 minuti una distanza di circa 9km a una quota variabile intorno ai 100 metri di altezza, sui tetti di Parigi.
Seppure poco noto, va tuttavia detto che il primo esperimento di volo ebbe luogo, quasi un secolo prima, ad opera di Bartolomeu Lourenço de Gusmão, nato nel 1685 a Santos, in Brasile, allora colonia portoghese.

Nel 1709 Bartolomeu de Gusmão avanzò una petizione al re Giovanni V di Portogallo nella quale chiedeva l’aiuto del sovrano per lo sviluppo del suo progetto di realizzare un dirigibile. L’idea era di porre un’enorme vela su una barca dotata di tubi che, in assenza di vento, avrebbero convogliato verso la vela aria generata da soffietti. L’esperimento pubblico fu fissato per il 24 giugno 1709, giorno di San Giovanni, ma non ebbe luogo. Tuttavia, alcuni cronisti dell’epoca sostengono che successivamente Bartolomeo realizzò un esperimento meno ambizioso ma che consentì alla sua macchina di volare per circa un chilometro su Lisbona, atterrando poi in Terreiro do Paco.
Il London Daily Universal Register (progenitore di The Times) del 20 ottobre 1786, rievoca la dimostrazione dinanzi alla Corte dell’8 agosto 1709, nella Casa de India a Lisbona. Un pallone, grazie al calore generato da un fuoco, si sollevò purtroppo in maniera obliqua fino ad infrangersi contro il cornicione dell’immobile, provocando lo scoppio e la caduta del pallone stesso.
Il re Giovanni premiò le ricerche e le realizzazioni di Gusmão nominandolo professore a Coimbra e facendolo Canonico. Ma Bartolomeo cominciò ad esser soprannominato ‘Voador’, l’uomo volante, e quindi ad attrarre le ‘ire’ della Santa Inquisizione. Sarebbe stato lo stesso Re a favorire la sua fuga in Spagna, ove egli trovò la morte a Toledo il 18 novembre 1724.
Pur riconoscendo i notevoli meriti di Gusmão e dei fratelli Montgolfier, non vi è tuttavia dubbio che resta Icaro il miglior rappresentante dell’esigenza umana di scoprire ed infrangere frontiere nuove e sempre più ambiziose.

 
Nelle immagini, dall'alto: Neil Armstrong sulla Luna, la Mongolfiera vola su Versailles, Ritratto di Bartolomeu Lourenço de Gusmão
 
 
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domenica 18 luglio 2010

Aria di Vacanza

L’aria vacanziera, propria del finir di luglio, non lascia eccessivi spazi a riflessioni impegnative, quantunque sia proprio ciò quanto richiesto dall’aria che tira.
Ecco, allora, prevalere il richiamo a due fatti di cronaca che lasciano indulgere all’aria vacanziera, a detrimento dell’aria che tira.
Il primo evento ha avuto quale cornice il Pantheon di Roma, peraltro già oggetto di un recente post ( http://massimilianosponzilli.blogspot.com/2010/03/puntualita-nella-casa-di-tutti-gli-dei.html ). Un signore ha pensato bene di entrarvi completamente nudo e, con passo calmo e braccia aperte, dirigersi verso il monumento funebre di Raffaello Sanzio. Qui egli si è disteso, offrendosi all’ammirazione divertita ma interessata dei turisti, fino all’arrivo della Polizia che lo ha trascinato via.  I presenti nel Monumento hanno potuto filmare la scena, rendendoci non solo l’incedere messianico dell’uomo ignudo, ma anche lo straordinario sguardo di una signora, evidentemente incantata dall’apparizione.Ammirate il Profeta 

II secondo evento riguarda, invece, un incidente occorso al fotografo di un matrimonio il quale, in maniera assai maldestra, è finito nella fonte battesimale della chiesa, con meraviglia degli sposi, danni alle proprie attrezzature, spavento per sé, risa degli astanti.Guardate che Fotografo...


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domenica 11 luglio 2010

Post N˚ 100 : Omaggio agli Stakeholders

Questo è il centesimo Post pubblicato e, considerata la “ricorrenza”, sembra giusto che esso sia dedicato all’informazione per gli Stakeholders, vale a dire per i “portatori di intersse” del Blog stesso, quindi per coloro che più attivamente partecipano al ‘Forum’, ma anche per tutti i lettori.
Il Blog – assolutamente amatoriale – evita, per quanto possibile, argomenti di politica o relativi alla mia professione, innanzitutto per ragioni deontologiche. Ogni Post è frutto di ricerca svolta con l’accuratezza dovuta alla passione con la quale viene realizzato e per il rispetto del vero, che deve esser riservato ai lettori ed anche ai ‘fatti’. In realtà, il Blog rappresenta la mia partita settimanale di golf (come noto, non pratico sport): dal punto di vista puramente neurologico – mi dicono i medici – il risultato è simile. Certamente una attività fisica comporterebbe altri benefici di cui, evidentemente, io mi privo.
Le rilevazioni statistiche messe a disposizione dallo “Stat Counter”, installato da circa sei mesi, dicono che il Blog sfiora i 1.500 visitatori al mese, da oltre 25 diversi paesi. Sebbene il Blog sia dotato di un traduttore in sei lingue attivabile con un click sulle bandierine in testa, la maggior parte dei lettori, poco più della metà, sono in Italia, mentre circa un quinto sono i lettori di Singapore. Il restante 25% è costituito da lettori residenti in quasi tutti i continenti. Di seguito sono riportati i dati sugli accessi relativi al mese di giugno 2010.

  1. Italia  55.67%    
  2. Singapore  19.38%  
  3. Malesia  4.33%
  4. Filippine 3.92%
  5. Finlandia 3.09% 
  6. Sud Africa 1.44%
  7. USA  1.44% 
  8. Regno Unito 1.24%
  9. Marocco  1.03%
  10. Albania 1.03% 
  11. Germania 0.82% 
  12. Francia 0.62%
  13. Senegal 0.62%
  14. Brasile  0.62%
  15. Spagna 0.62%
  16. Taiwan 0.62% 
  17. Argentina 0.62% 
  18. Rep. Ceca  0.41%
  19. Indonesia   0.41% 
  20. Austria 0.41% 
  21. Lussemburgo 0.41%
  22. Svizzera  0.21% 
  23. Tuchia 0.21% 
  24. Grecia 0.21%
  25. Svezia 0.21% 
  26. Hong Kong  0.21%
  27. Canada 0.21%
Infine, se mi fosse richiesto di richiamare e rileggere tre, solo tre, vecchi Post, certamente la scelta ricadrebbe, per l’ironica rappresentazione di un aspetto dell’Italia di oggi, su “Il Senso del Pudore”, del 13 novembre 2008 (http://massimilianosponzilli.blogspot.com/2008/11/lo-scorso-agosto-la-cittadella-della.html ), per la lezione di saggezza, prima che di economia, su “La Scimmia e lo Scimpanzé” del 7 maggio 2009 (http://massimilianosponzilli.blogspot.com/2009/05/la-scimmia-e-lo-scimpanze.html) , per il senso di speranza che scaturisce dalla ricostruzione storica, su “L’Auspicio” del 22 novembre 2008, (http://massimilianosponzilli.blogspot.com/2008/11/lauspicio_21.html).
Tuttavia, su tutti, la scelta ricadrebbe su “Italy” del 25 novembre 2009 (http://massimilianosponzilli.blogspot.com/2009/11/italy.html ) e non solo per l’amore e l’orgoglio verso il mio Paese...


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domenica 4 luglio 2010

Clientes

Diversi commenti al Post sul “Paradosso” – sopratutto relativi alla considerazione che, qualora applicato, il ‘prelievo” sulle banche graverebbe in realtà sull’utenza - hanno stimolato una riflessione sull’origine del ‘cliente’.
Il termine deriva dal "cliens" dell’antica Roma, riferito al cittadino che ricorreva alla protezione di un "patronus" in cambio di favori. Il cliente era obbligato nei confronti del proprio "patronus": gli doveva il voto nelle assemblee (il voto allora era espresso pubblicamente) e doveva aiutarlo se questi fosse andato in guerra. Diversi autori latini, soprattutto coloro che provenivano dalle provincie (Marziale, ad esempio), hanno vissuto in prima persona l'esperienza del ‘cliente’ e questa condizione ha garantito loro vitto e alloggio nell’Urbe, a loro estranea.
L'importanza di un potente era commisurata alla clientela che quotidianamente e rumorosamente lo svegliava per la ‘salutatio matutina’, eseguita secondo un rigido protocollo basato sull’importanza sociale: i pretori prima dei tribuni, i cavalieri avanti ai liberi, per finire con i liberti. La ‘clientela’ scortava poi il ‘patronus’ dappertutto, mostrandone col proprio numero la potenza e rappresentandone l’insieme dei suoi sostenitori.
Il cliens poteva recarsi alla casa del patronus a piedi piuttosto che in lettiga, ma obbligatoriamente doveva indossare la toga e assolutamente non chiamarlo per nome: al magnate ci si rivolgeva sempre chiamandolo dominus.
Questi avrebbe perso ogni reputazione se non avesse ascoltato le lagnanze o le richieste di aiuto e non avesse risposto ai saluti della folla che lo attendeva dall'alba. Periodicamente, nel corso della salutatio, i clientes ricevevano somme di danaro oppure un rifornimento di vettovaglie, portate via nelle sportulae (borse).
Spesso la sportula era una risorsa per sopravvivere, tuttavia anche coloro che avevano un mestiere aggiungevano alla loro entrata la sportula. Le donne non partecipavano a questa pratica quotidiana né come patrone né come clienti; solo le vedove chiedevano per sé quanto il patronus aveva fatto per il cliente ormai defunto. A volte, invece, il cliente portava con sé la moglie malridotta o malata per indurre il signore a più generose donazioni.
Viene da domandarsi come e quanto siano cambiate le relazioni del cliente rispetto a duemila anni fa.



Nell’immagine Ottaviano Augusto, tra i dominus con il seguito più vasto di clientes

sabato 26 giugno 2010

Il Paradosso

L’aspetto più paradossale delle speculazioni finanziarie scatenate ai danni di talune economie europee - e dello stesso Euro - risiede nell’utilizzo per tali assalti degli immensi capitali che, a seguito della ‘Tempesta’ del 2008, le Banche Centrali avevano immesso quasi gratuitamente nel sistema mondiale, con la finalità di scongiurare la paralisi dell’economia e perfino di salvare la gran parte dei protagonisti dei mercati finanziari.
Tali generosi interventi hanno contribuito a determinare l’odierna forte debolezza dei bilanci pubblici, in taluni casi vicini alla bancarotta, e allo stesso tempo l’onnipotenza del ‘Mercato’, che dispone di mezzi illimitati per attaccare proprio coloro che hanno messo a disposizione quei capitali oggi utilizzati nei vari assalti.

Paradosso nel paradosso, proprio a causa della debolezza generata dai robusti interventi anti-crisi, oggi i bilanci pubblici avrebbero bisogno di ulteriori sostegni. Invece, a causa dei ‘rally’ speculativi, le autorità sono costrette all’adozione di misure fortemente restrittive, che finiscono con l’enfatizzare ogni aspetto di vulnerablità, che immediatamente diviene nuovo privilegiato obiettivo della speculazione.
In tale scenario, ecco affacciarsi il ‘prelievo’ sugli Istituti Finanziari che alcuni leader mondiali vorrebbero introdurre per far sì che anche le Banche contribuiscano al costo della crisi, peraltro innescata proprio da taluni loro comportamenti ‘superficiali’.
Il dispositivo, che potrebbe esser adotatto perlomeno in sede europea, dovrebbe garantire una “suddivisione equilibrata del fardello della crisi e la creazione di incentivi che limitino rischi futuri”. Angela Merkel, tra gli alfiere principali dell’adozione del ‘prelievo’ sulle banche, ritiene “giusto tassare chi ha messo a rischio il mercato”, perchè vuole evitare che in futuro le banche possano “estorcere” ulteriori risorse agli stati.
C’è solo da augurarsi, per non aggiungere la beffa al paradosso, che il costo del prelievo, qualora adottato, non sia poi scaricato dalle banche sui propri clienti.


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domenica 13 giugno 2010

Un voto per ‘Stupor Mundi’

Alcuni Amici mi hanno sensibilizzato al voto del ‘monumento del cuore’, apprezzabile iniziativa che ogni anno il FAI (Fondo Ambiente Italiano) attiva al fine di valorizzare un “luogo inconfondibilmente italiano da ritrovare, far scoprire, far conoscere ed amare”. La segnalazione riguarda la Fortezza Svevo-Angioina di Lucera ( http://www.iluoghidelcuore.it/segnala/5105 ) legata a Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero.

Federico Hohenstaufen di Svevia nasce a Jesi, il 26 dicembre 1194, sotto una tenda appositamente innalzata nella piazza. La madre, Costanza d'Altavilla, dovette infatti dargli la luce al cospetto delle nobildonne jesine per far cessare ogni sospetto circa la sua effettiva maternità di quel bimbo avuto a quarant’anni compiuti. Costanza, infatti, stava mettendo al mondo colui che avrebbe ereditato il Regno di Sicilia per parte di madre (essendo Costanza figlia di Ruggero II) ed il Sacro Romano Impero dal padre Enrico VI, a sua volta figlio del Barbarossa.
Federico aveva solo quattro anni quando perse ambedue i genitori, divenendo cosi, sebbene sotto la ‘tutela’ del papa Innocenzo III, re di Sicilia, imperatore dei Romani, re d'Italia e re di Germania. Riprendeva cosi, con rinnovato vigore, la lotta tra il papato e l’impero, tra i ghibellini ed i guelfi, forse tutt’oggi non ancora del tutto terminata.

Federico, determinato a trasferire il centro dell’impero dalla Germania all’Italia, per dargli un respiro mediterraneo, affidò a giuristi insigni (Pier delle Vigne, che Dante esalterà nel XIII canto dell’Inferno, Michele Scoto, Roffredo da Benevento, Taddeo di Suessa) il compito di redigere le Costituzioni di Melfi (1231) che introducono il concetto ‘moderno’ della monarchia assoluta e centralizzata.
Ispirandosi al Corpus Iuris Civilis di Giustiniano, con le Costituzioni Federico si proclama Felix Pius Victor et Triunphator (come Giustiniano) e fa tornare il potere pienamente nelle mani dell’Imperatore, affiancato dalla Magna Curia in cui spiccano le figure del Maestro Giustiziere e del Maestro Camerario.
Per la prima volta vengono affrontati temi sanitari, con la regolamentazione della pulizia delle città e delle botteghe artigiane. Viene anche regolata l’usura, proibita ai non ebrei, e si affaccia una prima forma di ‘protezione' della donna che non può uscir di casa da sola dopo il tramonto, a meno che non sia una prostituta.
Federico, definito “Stupor Mundi”, è certamente radicato nel medioevo per la sua concezione universalistica e sacrale dell’impero, ma già aperto alla modernità per la sua visione dello stato monarchico amministrativo, per la sua tolleranza religiosa, per la sua versatilità culturale, per la sua magnificenza di costruttore (basti pensare alla raffinatezza di Castel del Monte) e di mecenate animatore di quel convegno di poeti, filosofi e scienziati che fu la sua ‘Magna Curia’.
Circondato dagli Arabi divenutigli devotissimi, Federico morirà il 13 dicembre 1250 a Fiorentino di Puglia, a qualche chilometro dalla Fortezza di Lucera che ora si vuole valorizzare, lasciando avverare la profezia che lo voleva morire nel ‘luogo del fiore’, ragione per la quale Federico non mise mai piede a Florentia, Firenze.

 
Nelle Immagini la Fortezza Svevo-Angioina di Lucera e Federico II di Svevia
 
 
 
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sabato 5 giugno 2010

Il Tofu e la Globalizzazione

In Europa lo hanno introdotto, senza grande successo in verità, i primi missionari di ritorno dall’Oriente a metà dello scorso millennio. Ma il tofu ha circa due mila anni: furono i monaci buddisti, che lo usavano come inibente degli stimoli sessuali, ad avviarne la produzione lasciando macerare in acqua i semi di soia per una notte. Da tali semi, scolati e frullati, si ottiene un liquido biancastro che viene bollito, filtrato, raffreddato e, quindi, unito ad un caglio. Ecco il “formaggio dell’Asia”, caratterizzato dall’assenza di colesterolo e lattosio, oltre che da un ridotto apporto energetico.
Ma, effetto della globalizzazione, a volte il tofu, così assolutamente asiatico, viene prodotto con semi di soia provenienti dal nord America. E ciò suona davvero beffardo: sembra quasi un effetto speculare della globalizzazione che, per contro, ci aveva abituati all’idea, peraltro non sempre apprezzata in Occidente, di dover “cedere” talune produzioni ai paesi emergenti, ove la manodopera a buon mercato consente di contenere in maniera significativa il costo della produzione. La liberalizzazione del commercio, con la conseguente mancanza di barriere doganali, consente infine il massimo beneficio per il consumatore finale, in termini di varietà dell'offerta e di prezzo.
Da noi abbiamo visto crollare in maniera drammatica la remunerazione di talune produzioni agricole (grano, olio, per citarne solo alcune), così come abbiamo assistito all’agonia di interi comparti industriali (si pensi al tessile, ad esempio). Infatti, tali produzioni risultano assai più convenienti, sotto il profilo dei costi e, quindi, dell’offerta finale al consumatore, quando realizzate in paesi emergenti.
Ma tale assioma, ormai comunemente accettato, sembra esser smentito dal caso di quelle aziende, collocate nella regione centrale dell’isola di Giava, che producono ottimo tofu con semi di soia provenienti dagli Stati Uniti. Non è il sovvertimento, ma la conferma del principio base della globalizzazione che premia davvero il prodotto migliore per qualità e per prezzo, indipendentemente dal luogo di origine.
C’è, allora, un futuro anche per tante nostre produzioni agricole ed industriali? Probabilmente si, ma solo se la qualità, il prezzo ed il servizio connesso si rivelano davvero eccellenti e ‘globalmente’ i migliori.

 
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sabato 29 maggio 2010

Viri e Bamboccioni

Nel Regno Unito li chiamano “kippers”, un quasi-acronimo che sta per ‘kids in parent’s pockets’, figli che erodono i risparmi di una vita. In Canada, invece, sono i “boomerang”, figli che ‘ritornano’, mentre negli Stati Uniti sono i “twixters”, figli che tornano al ‘nido’ mescolando l’adolescenza con l’età adulta. In Francia, invece, come il ventottenne protagonista del film che rifiutava di andar via di casa, li chiamano Tanguy. In Italia, emuli dell’allora Ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, dal 4 ottobre 2007 li chiamiamo “bamboccioni”.

In maniera professorale sono denominati NEETs (not in education, employment or training) e stanno diventando una ‘patalogia’ globale. Secondo l’annuale rapporto dell'Istat, in Italia coloro che ‘non fanno nulla’ sono oltre 2 milioni (primato europeo!) ed hanno un'età compresa tra i 15 e 29 anni (il 21,2% di questa fascia di età), sono prevalentemente maschi e a rischio esclusione.
Sebbene sia costante l’attitudine di considerare la gioventù del presente peggiore di quella precedente, non può esser addossata ad una intera generazione la responsabilità di un disagio e di una difficoltà così grande. Ciò che caratterizza la gioventù dei nostri giorni è il vivere in una dimensione di profonda incertezza, rispetto ai valori, ai modelli, allo stesso futuro. I giovani si trovano consapevolmente nel bel mezzo di un percorso e il più delle volte, non sanno verso quale meta sono diretti, dibattendosi in un doloroso e totale precariato, anche questo globale. Certamente, tuttavia, non per loro colpa o scelta.
Presso i Romani, il passaggio all’età adulta avveniva a 17 anni, celebrato con una importante cerimonia in occasione della festa del dio Liber, detta Liberalia, che cadeva il 17 marzo. I giovani smettevano gli abiti giovanili ed indossavano la toga virile, divenendo così cittadini a tutti gli effetti, pronti a divenire oratori, soldati, magistrati o anche sacerdoti. I più ambiziosi partivano volontari nell’esercito per effettuare le dieci campagne militari necessarie per potere intraprendere la carriera politica.

Della delicatezza di tale passaggio, si occupa anche Plutarco quando ammonisce: ”ci sono giovani che nell’atto stesso di deporre la toga puerile, depongono anche ogni senso di pudore e di rispetto, riempendosi subito di sregolatezza. Il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta non significa non avere più un’autorità a cui sottostare, ma semplicemente cambiarla, perché al posto di una persona stipendiata assumi a guida divina dell’esistenza la tua stessa ragione”.
Ecco il punto. Dov’è il Plutarco dei nostri giorni?

 
Nelle immagini: la locandina del Film Tanguy  (2001) e Lucius Mestrius Plutarchus (46 – 120)
 
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domenica 23 maggio 2010

A Favore di un Mezzogiorno Decaduto

Con sobrietà, quasi in sordina, hanno avuto inizio le celebrazioni del 150˚ anniversario dell’Unità d’Italia. Restano, tuttavia, ancora numerose le voci dissonanti e appaiono distanti le analisi sul processo di unificazione e sui suoi stessi risultati.
Nella realtà storica, la spedizione dei Mille di Garibaldi forzò totalmente la situazione, presentando a Cavour l’opportunità di offrire ai Savoia il regno d’Italia e non della sola padania come, invece, previsto dagli accordi segreti di Plombières negoziati dallo stesso Cavour con Napoleone III.
Ma il Mezzogiorno, prima di Garibaldi, era davvero la ‘negazione di Dio in terra’, come ebbe a scrivere Gladstone?
Giuseppe Garibaldi giunse a Napoli, in treno, verso le ore 13 del 7 settembre 1860 ove fu accolto dagli “oppositori” dei Borbone. Alla testa del corteo che seguiva la sua carrozza si trovavano i capi della camorra (“Tore ‘e Criscenzio”, Jossa, Capuano, Mele), seguiti dalla tavernaia Marianna De Crescenzo, detta la “Sangiovannara” a favore della quale Garibaldi decreterà una pensione di dodici ducati al mese, accompagnata dalle prostitute “Rosa ‘a pazza”, “Luisella ‘a lum a ‘ggiorno” e “Nannarella ‘e quatt’rane”.

Ma questa era l’'opposizione'. Il Regno dei Borbone, per contro, aveva offerto all’umanità il genio di Gianbattista Vico, l’acume di Ferdinando Galiani, il barocco di Domenico Scarlatti. Inoltre, esso vantava rilevanti eccellenze. In soli 270 giorni, 41 anni prima della Scala e 51 prima della Fenice, era stato costruito il teatro San Carlo. All’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856 il Regno delle Due Sicilie era stato riconosciuto quale terzo Paese più industrializzato al mondo. La prima ferrovia in Italia (Napoli-Portici, 1839) offriva biglietti ridotti ai cittadini meno abbienti, «alle persone di giacca e coppola, alle donne senza cappello, ai domestici in livrea ed ai soldati e bassi ufficiali del real esercito». Ma con i Borbone furono anche realizzate, nel 1839, la prima illuminazione a gas in Italia e, nel 1858, la prima galleria ferroviaria al mondo.

Il Mezzogiorno vantava anche rilevanti industrie, come l’impianto metalmeccanico di Pietrarsa, che impiegava circa duemila operai, o i cantieri navali di Castellammare che vararono il primo battello a vapore con propulsione ad elica, il “Giglio delle Onde”.
Infine, era rimarchevole la solidità della finanza pubblica. Francesco Saverio Nitti, nel suo “Scienza delle Finanze”, rileva che al momento dell’unificazione d’Italia le riserve del Regno Borbonico ammontavano a 443 milioni di Ducati-oro, pari a quasi il 70% del patrimonio di tutti gli stati pre-unitari messi insieme.
Tuttavia, le politiche di sviluppo economico e perfino le scelte nei progetti infrastrutturali seguite alla riunificazione non furono premianti per il Mezzogiorno. Ed iniziò quel declino e quel processo involutivo culminati nell’odierno assistenzialismo esasperato che ha portato larga parte della popolazione a vivere di prebende e malaffare e facendo sempre più del Mezzogiorno una periferia incompresa, ed anche disprezzata.
Il punto, allora, riconosciuta la realtà storica, è la necessaria identificazione del cosa e del come fare perchè il 150˚ anniversario dell’unità d’Italia divenga l’inizio di un processo di rinascita e valorizzazione del patrimonio morale, culturale e produttivo di una parte significativa del nostro paese che tanto può e merita di esprimere per costruire, in un sano e coerente sviluppo, il benessere delle proprie genti.


Nelle Immagini: Il Teatro San Carlo di Napoli e Pietrarsa, l'impianto metalmeccanico che impiegava 2.000 operai.

sabato 15 maggio 2010

Il “Mattone” Prevale, Fino Ai Guai

Anche la frivola apparenza di un evento mondano può offrire spunti per riflessioni ed approfondimenti. Qualche sera fa, in occasione di un elegante ricevimento di una primaria casa dell’alta moda, sedevo accanto ad una bella signora, di benessere solido ed ottimamente, seppur solo di recente, sposata. Di lei non so molto altro perchè, si sa, alle signore non vanno poste troppe domande.
Si discuteva dell’evoluzione della crisi e delle decisioni migliori da adottare per beneficiare al massimo dei propri risparmi che, nel caso della signora, devono esser piuttosto cospicui.

Con perizia davvero raffinata, l’elegante dama si addentrava nelle varie opzioni sulle diverse piazze asiatiche, discettava sui differenziali di cambio, rifletteva sul corso dell’oro. Io, timidamente, ho ribadito la centralità del “mattone”: noi italiani, le ho detto, consideriamo la casa, il mattone, il bene rifugio per eccellenza, al riparo da ogni sorpresa spiacevole.
Tale tendenza, peraltro, ha trovato singolare conferma anche nei recenti casi di malcostume, emersi a carico di taluni personaggi politici, che hanno accordato la priorità al mattone, magari di quartiere pregiato, ma pur sempre mattone.
Il caso portato alla luce parla di somme importanti che, a metà del 2004, sarebbero state utilizzate per acquisti immobiliari. Quelli erano i mesi della inarrestabile espansione delle borse e del successo di qualunque prodotto finanziario. Quella stessa somma, abilmente gestita da scaltri operatori finanziari, avrebbe potuto raddoppiare o addirittura triplicare in uno o due anni. E invece no: l’italica propensione al mattone ha prevalso, fino ai guai giudiziari di questi giorni!

 

martedì 11 maggio 2010

Per l'Europa

Davvero numerosi i commenti sul Post “Una Celebrazione Oscurata”.
Due per tutti: Carmelo gradisce il “bel pensiero, con un augurio che si possa presto riportare fiducia e coerenza alla straordinaria iniziativa di un mondo senza Guerra. A partire dalla Vecchia Europa!”
Giulio, invece, ricorda che “a scuola, tanti anni fa, ho studiato che Mazzini era un promotore dell'Europa unita, ancor prima che dell'Italia. Nonostante le difficoltà economiche odierne, vedendo in prima linea la mediocrità umana di tanti altri paesi, rimango orgoglioso di essere Italiano ed Europeo !”

 

sabato 8 maggio 2010

Una Celebrazione Oscurata

Il 9 maggio ricorre la Festa dell’Europa. Fu in quel giorno del 1950, infatti, che Robert Schuman, Ministro francese degli Affari Esteri, rese pubblica la sua “Dichiarazione” che, dopo secoli di terribili conflitti e sanguinosissime guerre, diede avvio al processo di integrazione dell’Europa.
Schuman rilevava che "la pace mondiale non potrebbe essere

salvaguardata senza iniziative creative all'altezza dei pericoli che ci minacciano" e proponeva la creazione di una “Alta Autorità” sovrannazionale alla quale affidare la gestione delle materie prime che all'epoca erano il presupposto di qualsiasi potenza militare, il carbone e l'acciaio. Cominciava così la “creazione dell’Europa” che, attraverso numerose ed importanti realizzazioni, ci ha portati fino alla moneta comune, l’Euro.
Pensavo di poter – in verità di dover, considerata la generazione “europeista” alla quale appartengo – ricordare e celebrare il sessantenario della Dichiarazione di Schuman. Ed invece le “turbolenze” di questi giorni obbligano ad occuparsi della “tragedia greca”, funesto presagio del collasso di un intero sistema, con il grave quesito sulla tenuta stessa dell’Unione Monetaria e, perfino, dell’Euro.
Il drammatico rogo della banca di Atene, data alle fiamme quale simbolo del potere finanziario, ben rappresenta il tormento di questi giorni e gli immani capitali ‘bruciati’ nelle diverse piazze finanziarie del mondo intero.                                                         
Paghiamo lo scotto della mancanza di interventi strutturali a seguito della “tempesta” originata dalla crisi del ‘subprime’, mentre le medesime agenzie di rating che attribuivano ‘A’ anche triple a fondi di assoluta inconsistenza oggi emettono giudizi trancianti sulle economie di questo o quel paese, scatenando ansie ed ire, oltre e sopratutto, a non limpide speculazioni sui mercati.
E il dramma è che all’orizzonte non si intravede nessun nuovo Schuman in grado di proporre “iniziative creative all'altezza dei pericoli che ci minacciano”.


Nella foto Robert Schuman (1886-1963)

venerdì 30 aprile 2010

“Gnomi”

Il giorno 8 febbraio si festeggia san Gerolamo Miani (1486-1537), patrono degli orfani e della gioventù abbandonata. Quest’anno cadeva di lunedi e – secondo un’inchiesta del Department of Justice degli Stati Uniti - quella sera, a Manhattan, ha avuto luogo una cena a cui hanno preso parte i più importanti ‘hedge fund’ (Soros, Paulson, Grenlight, Sac capital) nel corso della quale sarebbe stato deciso l’attacco speculativo all'Euro. Il giorno dopo, martedi 9 febbraio, al Chicago Mercantile Exchange i contratti futures che scommettevano su un tracollo dell'euro sono schizzati a oltre 54.000. Un record storico, alla base dell’apprensione con la quale oggi guardiamo alla sorte della Grecia e dell’Euro e, sopratutto, allo stesso destino prossimo della nostra economia nazionale e, perfino, familiare e personale.
Tale vicenda, comunque per nulla nuova, consente un excursus sulle prime riunioni degli ‘gnomi’, alle origini del mercantilismo moderno.
Strano a dirsi, ma il capitalismo moderno mosse i primi passi in Italia ove furono concepite le prime banche e le prime imprese modernamente strutturate.
Furono gli italiani (veneziani e toscani su tutti) a spingersi fino a Bruges, visto che tale città costituiva l’ideale punto di incontro tra i due imperi commerciali dell’epoca: quello del Mediterraneo e quello delle città Anseatiche.
In particolare, erano i locandieri che spesso assumevano la funzione di intermediazione (di broker, diremmo oggi) visto che potevano offrire ai mercanti non solo alloggio, ma anche una sorta di servizio di rappresentanza. Tra tali locandieri un ruolo preminente lo assunse Robert Van der Buerse, di una nota famiglia di locandieri che da cinque generazioni gestiva ‘Ter Buerse’, una locanda di cui si ha notizia certa sin dal 1285 e che diede il nome alla piazza antistante.
Nel XIV secolo tale Piazza divenne il centro pulsante del commercio e della finanza di Bruges, tanto da esser riportata nella Guida al commercio di Pegolotti (1340) come importante riferimento anche per i mercati inglesi ed italiani.
I Locandieri divenivano sempre più broker: raccoglievano e davano sistematicità alle informazioni che i mercanti di passaggio loro affidavano sulla situazione economica, sulla politica dei vari paesi, sulla situazione dei differenti mercati. Già nel 1370 nella piazza di Bruges venivano annunciati ad orari determinati i tassi di cambio, mentre nel 1400 venivano comunicati i tassi praticati sulle altre principali piazze d’Europa come Barcellona, Venezia, Londra e Parigi. La funzione della Piazza Ter Buerse aveva assunto tale rilevanza che, nonostante fosse pubblica, durante le ore di negoziazione veniva proibito l’accesso ai mendicanti ed ai vagabondi.
Il tedesco Hieronymus Muenze nel suo diario di viaggio del 1495 annota le “riunioni dei mercanti nella Piazza di Bruges che è denominata De Beurse”. Nel secolo successivo il declino di Bruges fece spostare il centro finanziario ad Anversa, tuttavia non mutò il nome di “Beurse” che, al contrario, cominciò a diffondersi in Francia, Italia, Spagna e Germania ove fu poi adattato in Bourse, Borsa, Bolsa e Börse. In Inghilterra il termine ‘Burse’ fu in uso fino al 1775, quando tramutò in ‘Royal Exchange’.

Non c’è dubbio che il nome e lo stemma della famiglia Van der Buerse (in cui compaiono delle borse) abbiano giocato un ruolo centrale nell’associare la Piazza di Bruges al moderno concetto di ‘Borsa’, così come è indubitabile il filo che da quella Piazza di Bruges si snoda fino alle ‘turbolenze’ di queste settimane e, chissà, forse perfino alla cena di Manhattan del giorno di san Gerolamo Miani, patrono degli orfani e della gioventù abbandonata.

 
 
Nella immagine accanto, lo stemma della famiglia Van der Buerse.
Sopra, la Borsa di Bruges. 
 
 
 
 
 

sabato 24 aprile 2010

Il Modello Effimero

Circa due anni fa, con riferimento alle invocate riforme istituzionali circolava una battuta: mentre in Italia si discuteva del modello francese contrapposto al modello tedesco, in Francia, con maggior pragmatismo, il

neo-presidente Sarkozy impalmava la Modella italiana. Siamo ora in una situazione del tutto simile.
Discutiamo con animosità sulla opportunità che l’insegna dei negozi sia in dialetto locale e, eventualmente, anche in una lingua ufficiale comunitaria (compreso, quindi, l’italiano) e non riusciamo a soffermarci su elementi che, evidentemente, appaiono modesti ed insignificanti.
Giappone, Cina, India, Corea ed i Paesi del Sud Est Asiatico già oggi producono oltre il 30% della ricchezza mondiale e da loro proviene il 28% delle esportazioni globali. Noi stessi abbiamo fatto della Cina il nostro terzo paese fornitore. Intanto, i turisti cinesi non solo stanno diventando i più numerosi ma, per esempio in Francia, spendono il doppio dei turisti americani.
Ciò mentre noi preferiamo discettare sulla differenza tra il dialetto trevigiano e quello padovano senza, naturalmente, dimenticare le fondamentali differenze tra il bergamasco ed il bresciano.
È certamente sacrosanta la valorizzazione delle proprie origini e delle proprie radici (vere, non fasulle!), ma uno sguardo un po’ più in là del nostro naso potrebbe consentirci di meglio comprendere e decodificare i cambiamenti in atto ed intercettare alcuni importanti flussi di innovazione, veri creatori di benessere.


Nell’immagine Carla Bruni, première Dame de France

domenica 18 aprile 2010

Forza della Natura

L’eruzione dell’Eyjafjallajokull in Islanda sta incidendo profondamente sulla vita e sull’economia di questi
giorni. Quanti viaggi annullati! E quante mancate partecipazioni a incontri internazionali, matrimoni, funerali, celebrazioni. Per non parlare di incontri di affari, forniture di derrate alimentari, eccetera eccetera.
Questa eruzione ricorda la più famosa sciagura della storia: l’eruzione del Vesuvio del 24 agosto del 79 di cui parla Plinio il Giovane nella sua lettera a Tacito, scritta per assicurare ‘gloria immortale’ a suo zio Gaio Plinio Secondo, Plinio il Vecchio, che morì proprio in quella occasione.
Il 24 agosto del 79, verso l’ora settima, quindi circa alle 13, Plinio il Vecchio (che Italo Calvino definirà protomartire della scienza) si trovava a Miseno, a capo della flotta, e se ne stava disteso a studiare “dopo aver fatto un bagno di sole ed uno d'acqua fredda e presa una piccola colazione” quando una nube “inconsueta per forma e grandezza” annunciò l’imminente distruzione di un “paese bellissimo per città e popolazioni”.

La nube assomigliava ad un pino: “levatasi verticalmente come un altissimo tronco, s'allargava in alto come con dei rami, probabilmente spinta da una corrente ascendente. Si espandeva bianca a tratti, oppure nera e sporca a causa della terra e della cenere che trasportava”.
Lasciato il suo Comando di Miseno, Plinio s'imbarca per portare aiuto, “volto verso il pericolo, così privo di paura da dettare e descrivere tutti i fenomeni della tragedia che si compiva esattamente come si presentava ai suoi occhi. Sulle navi pioveva cenere sempre più calda e densa; e si vedevano pomici e ciottoli anneriti, bruciati dal fuoco e spezzati”.
Dopo una breve esitazione, indeciso se tornare indietro, Plinio esclama: fortes fortuna iuvat, deciso a proseguire la navigazione. Giunge alla casa di Pomponiano, a Stabia. Plinio abbraccia l'amico impaurito, lo incoraggia, lo conforta e, per calmarne le paure, finge allegria.
Frattanto dal monte Vesuvio risplendevano larghissime fiamme e vasti incendi, resi più vividi dalla oscurità della notte. La casa era colpita da frequenti e lunghe scosse, come colpita nelle fondazioni. La pioggia di cenere e pomice rendeva pericoloso restare in casa. Allora “messi dei cuscini sul capo li legano bene con lenzuola per ripararsi da ciò che cade dall'alto” ed escono in strada.
Altrove faceva giorno, ma là era notte, più scura e fitta di ogni altra notte. Le fiamme e un odore sulfureo annunciano nuove fiamme. Alcuni fuggono. Plinio esce sul lido per guardare se fosse il caso di riprendere il mare. “Quivi, buttatosi su un lenzuolo disteso, domanda dell'acqua e beve per due volte. Sostenuto da due servi si leva e spira nel punto stesso”.

Nell'immagine in alto l'eruzione dell’Eyjafjallajokull in Islanda. In basso il dipinto di Saverio Della Gatta "Eruzione del Vesuvio del 1794"