domenica 24 ottobre 2010

Matteo Ricci: la ricchezza dalla diversità

Marco Polo è certamente il più famoso italiano d’Asia. Purtroppo, a volte il suo ruolo viene ridotto alla diatriba sugli spaghetti-noodles: ovvero se Marco Polo abbia portato gli spaghetti in Asia oppure i noodles in Europa (dimenticando che già Cicerone mangiava le “lagana”, nonne delle nostre lasagne). Per giunta, una cospicua corrente storiografica inglese mette addirittura in dubbio l’esistenza di Marco Polo (“il Milione” in verità è stato dettato a Rustichello nel carcere di Pisa, non essendo Marco Polo in grado di scrivere) tralasciando, però, che in quel periodo la comunità di affari italiana (veneziana in primis) a Pechino contava circa 700 unità.
Non vi è dubbio, tuttavia, che il più grande italiano in Asia sia stato Matteo Ricci, gesuita marchigiano (Macerata, 8 ottobre 1552) del quale, peraltro, ricorrono quest’anno i 400 anni dalla morte, avvenuta a Pechino l’11 maggio 1610.

Il giovane Matteo raggiunse Goa, nel 1578, dove completò gli studi e fu ordinato sacerdote. Quattro anni dopo, destinato all’evangelizzazione della Cina, raggiunse Macao, ove apprese il cinese, per poi trasferirsi a Kao-yao e, in seguito, a Nanchino “la più bella e la più grande città al mondo”, secondo Marco Polo, che vi era giunto 315 prima.
Matteo Ricci parlava, leggeva e scriveva correttamente il cinese classico e aveva assunto il nome cinese di Li Madou. Egli godeva di molto rispetto ed alta reputazione per le sue conoscenze scientifiche, innanzitutto matematiche ed astronomiche. Quando previde l’eclissi solare, la sua fama crebbe al punto che, nel 1601, l’Imperatore Wan Li lo designò al ruolo di Consigliere della Corte Imperiale, divenendo così il primo occidentale ad accedere alla “Città Proibita”.
Tuttavia, sebbene Matteo Ricci avesse libero accesso alla Città Proibita, mai egli ebbe l’opportunità di incontrare di persona l’Imperatore che, comunque, gli aveva assegnato un generoso appannaggio, che si rivelò fondamentale per lo stabilimento dei Gesuiti in Cina.
Ricci apprezzava molto la cultura cinese, pur condannando la prostituzione largamente praticata nella Pechino dell’epoca. Egli individuò nei ‘valori confuciani’ il mezzo per spiegare il cristianesimo che, nella sua predicazione, divenne non qualcosa di nuovo ed estraneo, ma semplicemente la maniera più perfetta per manifestare la propria religiosità: infatti, il carattere che rappresenta il Dio del Paradiso cinese - 天主 - è identico a quello di Dio.
Matteo Ricci morì a Pechino l’11 maggio 1610, all’età di 58 anni. Le leggi della Dinastia Ming prevedevano che gli stranieri che morivano in Cina fossero sepolti a Macao. Tuttavia, in considerazione dell’alto contributo di Matteo Ricci alla Cina, l’Imperatore Wan Li concesse che egli fosse sepolto a Pechino, destinando a ciò un tempio buddista – divenuto poi noto come il Cimitero di Zhalan - ove, in seguito, trovarono sepoltura anche altri gesuiti.
Matteo Ricci è autore profondo di opere di matematica, di teologia e di filosofia in latino e in cinese che testimoniano la modernità di quest’uomo nato e vissuto in piena controriforma ma capace di intravedere e apprezzare gli aspetti più considerevoli delle diversità culturali, vera ricchezza per l’Uomo di ogni tempo.


Nell'immagine: Matteo Ricci ritratto in abiti cinesi

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Senza alcuna vena polemica, sarebbe giusto far rilevare che Matteo Ricci non è mai divenuto santo, al contrario di altri Gesuiti del suo tempo quali Francesco Saverio (altro missionario in terra d’Asia) o di Roberto Bellarmino (“accusatore” di Giordano Bruno).
Comunque, caro Mass, complimenti per i tuoi post.
Un caro saluto
Gustavo

Anonimo ha detto...

Grazie caro Massimo. Come al solito un articolo impecabbile ed interessante. Un abbraccio