sabato 5 giugno 2010

Il Tofu e la Globalizzazione

In Europa lo hanno introdotto, senza grande successo in verità, i primi missionari di ritorno dall’Oriente a metà dello scorso millennio. Ma il tofu ha circa due mila anni: furono i monaci buddisti, che lo usavano come inibente degli stimoli sessuali, ad avviarne la produzione lasciando macerare in acqua i semi di soia per una notte. Da tali semi, scolati e frullati, si ottiene un liquido biancastro che viene bollito, filtrato, raffreddato e, quindi, unito ad un caglio. Ecco il “formaggio dell’Asia”, caratterizzato dall’assenza di colesterolo e lattosio, oltre che da un ridotto apporto energetico.
Ma, effetto della globalizzazione, a volte il tofu, così assolutamente asiatico, viene prodotto con semi di soia provenienti dal nord America. E ciò suona davvero beffardo: sembra quasi un effetto speculare della globalizzazione che, per contro, ci aveva abituati all’idea, peraltro non sempre apprezzata in Occidente, di dover “cedere” talune produzioni ai paesi emergenti, ove la manodopera a buon mercato consente di contenere in maniera significativa il costo della produzione. La liberalizzazione del commercio, con la conseguente mancanza di barriere doganali, consente infine il massimo beneficio per il consumatore finale, in termini di varietà dell'offerta e di prezzo.
Da noi abbiamo visto crollare in maniera drammatica la remunerazione di talune produzioni agricole (grano, olio, per citarne solo alcune), così come abbiamo assistito all’agonia di interi comparti industriali (si pensi al tessile, ad esempio). Infatti, tali produzioni risultano assai più convenienti, sotto il profilo dei costi e, quindi, dell’offerta finale al consumatore, quando realizzate in paesi emergenti.
Ma tale assioma, ormai comunemente accettato, sembra esser smentito dal caso di quelle aziende, collocate nella regione centrale dell’isola di Giava, che producono ottimo tofu con semi di soia provenienti dagli Stati Uniti. Non è il sovvertimento, ma la conferma del principio base della globalizzazione che premia davvero il prodotto migliore per qualità e per prezzo, indipendentemente dal luogo di origine.
C’è, allora, un futuro anche per tante nostre produzioni agricole ed industriali? Probabilmente si, ma solo se la qualità, il prezzo ed il servizio connesso si rivelano davvero eccellenti e ‘globalmente’ i migliori.

 
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