domenica 23 maggio 2010

A Favore di un Mezzogiorno Decaduto

Con sobrietà, quasi in sordina, hanno avuto inizio le celebrazioni del 150˚ anniversario dell’Unità d’Italia. Restano, tuttavia, ancora numerose le voci dissonanti e appaiono distanti le analisi sul processo di unificazione e sui suoi stessi risultati.
Nella realtà storica, la spedizione dei Mille di Garibaldi forzò totalmente la situazione, presentando a Cavour l’opportunità di offrire ai Savoia il regno d’Italia e non della sola padania come, invece, previsto dagli accordi segreti di Plombières negoziati dallo stesso Cavour con Napoleone III.
Ma il Mezzogiorno, prima di Garibaldi, era davvero la ‘negazione di Dio in terra’, come ebbe a scrivere Gladstone?
Giuseppe Garibaldi giunse a Napoli, in treno, verso le ore 13 del 7 settembre 1860 ove fu accolto dagli “oppositori” dei Borbone. Alla testa del corteo che seguiva la sua carrozza si trovavano i capi della camorra (“Tore ‘e Criscenzio”, Jossa, Capuano, Mele), seguiti dalla tavernaia Marianna De Crescenzo, detta la “Sangiovannara” a favore della quale Garibaldi decreterà una pensione di dodici ducati al mese, accompagnata dalle prostitute “Rosa ‘a pazza”, “Luisella ‘a lum a ‘ggiorno” e “Nannarella ‘e quatt’rane”.

Ma questa era l’'opposizione'. Il Regno dei Borbone, per contro, aveva offerto all’umanità il genio di Gianbattista Vico, l’acume di Ferdinando Galiani, il barocco di Domenico Scarlatti. Inoltre, esso vantava rilevanti eccellenze. In soli 270 giorni, 41 anni prima della Scala e 51 prima della Fenice, era stato costruito il teatro San Carlo. All’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856 il Regno delle Due Sicilie era stato riconosciuto quale terzo Paese più industrializzato al mondo. La prima ferrovia in Italia (Napoli-Portici, 1839) offriva biglietti ridotti ai cittadini meno abbienti, «alle persone di giacca e coppola, alle donne senza cappello, ai domestici in livrea ed ai soldati e bassi ufficiali del real esercito». Ma con i Borbone furono anche realizzate, nel 1839, la prima illuminazione a gas in Italia e, nel 1858, la prima galleria ferroviaria al mondo.

Il Mezzogiorno vantava anche rilevanti industrie, come l’impianto metalmeccanico di Pietrarsa, che impiegava circa duemila operai, o i cantieri navali di Castellammare che vararono il primo battello a vapore con propulsione ad elica, il “Giglio delle Onde”.
Infine, era rimarchevole la solidità della finanza pubblica. Francesco Saverio Nitti, nel suo “Scienza delle Finanze”, rileva che al momento dell’unificazione d’Italia le riserve del Regno Borbonico ammontavano a 443 milioni di Ducati-oro, pari a quasi il 70% del patrimonio di tutti gli stati pre-unitari messi insieme.
Tuttavia, le politiche di sviluppo economico e perfino le scelte nei progetti infrastrutturali seguite alla riunificazione non furono premianti per il Mezzogiorno. Ed iniziò quel declino e quel processo involutivo culminati nell’odierno assistenzialismo esasperato che ha portato larga parte della popolazione a vivere di prebende e malaffare e facendo sempre più del Mezzogiorno una periferia incompresa, ed anche disprezzata.
Il punto, allora, riconosciuta la realtà storica, è la necessaria identificazione del cosa e del come fare perchè il 150˚ anniversario dell’unità d’Italia divenga l’inizio di un processo di rinascita e valorizzazione del patrimonio morale, culturale e produttivo di una parte significativa del nostro paese che tanto può e merita di esprimere per costruire, in un sano e coerente sviluppo, il benessere delle proprie genti.


Nelle Immagini: Il Teatro San Carlo di Napoli e Pietrarsa, l'impianto metalmeccanico che impiegava 2.000 operai.

2 commenti:

Nobile di Treviso ha detto...

Caro amico
Molto bello questo tuo articolo che condivido pienamente. Lo linko sul mio blog.
Sempre con moilta stima of course....

Oltremare ha detto...

La colonizzazione piemontese travestita da unficazione italiana si servi' di tutti i mezzi possibili per delegittimare il Regno del Sud. Riporto brani di un articolo pubblicato su una rivista che trovai ad Atripalda:
L' uso del nuovo meraviglioso mezzo tecnologico dell'ottocento: il Dagherrotipo, la fotografia, cadde subito al servizio di torbidi maneggi, e una tra le prime testimonianze della manipolazione delle foto per ricatti a fini politici - facendo ricorso addirittura al falso e al fotomontaggio, trucchi tecnici mai visti prima -avvenne a Roma in quello che fu l'Affaire Costanza Vaccari Diotallevi.
Questo complotto e ricatto ebbe come ignara vittima la giovane e bella ex-Regina di Napoli Maria Sophia di Wuttemberg. La sua effigie in pose oscene venne diffusa non solo a Roma ma in tutte le Corti e città d'Europa per mezzo di un complotto dispendioso quanto politicamente ben studiato che venne attribuito dalle autorità dello Stato Pontificio ai sobillatori rivoluzionari che tramavano contro il Vaticano a favore del Re Sabaudo.
Lo scandalo scoppiò nel febbraio 1862, otto anni prima della breccia di Porta Pia, in uno Stato pontificio in panico, alle corde, alla mercé di difensori stranieri, ora francesi di Napoleone III, ora austriaci, con il papa diffidente, tornato anche lui da poco dall'esilio a Gaeta durante la breve e gloriosa Repubblica Romana del 1848-49.
La polizia si mise alla ricerca degli autori di tanta ignominia, e li scopri in persona dei coniugi Antonio e Costanza Diotallevi, giovani fotografi di fama perduta. Furono arrestati... "
Incarcerati a marzo, per i coniugi Vaccari-Diotallevi, iniziò il primo atto di una commedia già scritta da un'abile mano, quella del Ministro della guerra del Papa, il belga conte Xavier De Merode, un prelato spregiudicato e ben avvezzo a metodi spicci: era stato perfino nella legione straniera prima di prendere l'abito talare. Un personaggio per tutte le stagioni e assai lungimirante, che mentre sbrigava gli affari pontifici, gettava le basi per una futura sua agiatezza sotto il regno d'Italia, accaparrandosi i beni del Lascito Beauhamais, le ricche proprietà ecclesiastiche confiscate da Napoleone Bonaparte alla chiesa romana e donate ad Eugenio, figlio della sua prima moglie Giuseppina Beauhamais, che comprendeva importanti terreni tra la Stazione Termini e lungo la futura Via Nazionale. Monsignor de Merode si servì di Costanza Vaccari - donna giovane e bella che non si rassegnava alla mediocrità della vita coniugale ed era divenuta l'amante di un generale pontificio, il cinquasettenne francese Augustin De Goyon, politicamente inviso al De Merode - per fame uno strumento della sua trama insidiosa contro i sostenitori a Roma dell'annessione allo Stato sabaudo, cercando di infamarli attraverso una congiura boccaccesca. Esisteva già a quei tempi una figura giuridica equivalente al nostro pentitismo: era "l'impunito", persona che scampava alla condanna facendosi delatore e sottoscrivendo le confessioni "impunitarie" dettate dalle esigenze della politica. Ea maggior parte degli"impuniti" veniva creata ad arte, a tavolino. Costanza, senza il marito e senza l'amante, si era prestata al disegno del de Merode e una volta imprigionata, come da copione, firmò al Monsignore una confessione che accusava le persone che lui voleva irretire di connivenza con lo stato sabaudo ed in cambio ricevette la libertà e una pensione di quindici lire al mese vita natural durante. Lo scandalo delle false fotografìe costruite in studio, e dei fotomontaggi realizzati con la collaborazione di esperti ritoccatori, che raffiguravano la bella regina Maria Sophia sia sola, sia il marito Francesco II di Borbone, in pose oscene, dovevano sembrare create da nemici del papato per gettare il discredito sia sulla Corte borbonica in esilio, sia su quella pontifìcia che l'ospitava.