domenica 18 aprile 2010

Forza della Natura

L’eruzione dell’Eyjafjallajokull in Islanda sta incidendo profondamente sulla vita e sull’economia di questi
giorni. Quanti viaggi annullati! E quante mancate partecipazioni a incontri internazionali, matrimoni, funerali, celebrazioni. Per non parlare di incontri di affari, forniture di derrate alimentari, eccetera eccetera.
Questa eruzione ricorda la più famosa sciagura della storia: l’eruzione del Vesuvio del 24 agosto del 79 di cui parla Plinio il Giovane nella sua lettera a Tacito, scritta per assicurare ‘gloria immortale’ a suo zio Gaio Plinio Secondo, Plinio il Vecchio, che morì proprio in quella occasione.
Il 24 agosto del 79, verso l’ora settima, quindi circa alle 13, Plinio il Vecchio (che Italo Calvino definirà protomartire della scienza) si trovava a Miseno, a capo della flotta, e se ne stava disteso a studiare “dopo aver fatto un bagno di sole ed uno d'acqua fredda e presa una piccola colazione” quando una nube “inconsueta per forma e grandezza” annunciò l’imminente distruzione di un “paese bellissimo per città e popolazioni”.

La nube assomigliava ad un pino: “levatasi verticalmente come un altissimo tronco, s'allargava in alto come con dei rami, probabilmente spinta da una corrente ascendente. Si espandeva bianca a tratti, oppure nera e sporca a causa della terra e della cenere che trasportava”.
Lasciato il suo Comando di Miseno, Plinio s'imbarca per portare aiuto, “volto verso il pericolo, così privo di paura da dettare e descrivere tutti i fenomeni della tragedia che si compiva esattamente come si presentava ai suoi occhi. Sulle navi pioveva cenere sempre più calda e densa; e si vedevano pomici e ciottoli anneriti, bruciati dal fuoco e spezzati”.
Dopo una breve esitazione, indeciso se tornare indietro, Plinio esclama: fortes fortuna iuvat, deciso a proseguire la navigazione. Giunge alla casa di Pomponiano, a Stabia. Plinio abbraccia l'amico impaurito, lo incoraggia, lo conforta e, per calmarne le paure, finge allegria.
Frattanto dal monte Vesuvio risplendevano larghissime fiamme e vasti incendi, resi più vividi dalla oscurità della notte. La casa era colpita da frequenti e lunghe scosse, come colpita nelle fondazioni. La pioggia di cenere e pomice rendeva pericoloso restare in casa. Allora “messi dei cuscini sul capo li legano bene con lenzuola per ripararsi da ciò che cade dall'alto” ed escono in strada.
Altrove faceva giorno, ma là era notte, più scura e fitta di ogni altra notte. Le fiamme e un odore sulfureo annunciano nuove fiamme. Alcuni fuggono. Plinio esce sul lido per guardare se fosse il caso di riprendere il mare. “Quivi, buttatosi su un lenzuolo disteso, domanda dell'acqua e beve per due volte. Sostenuto da due servi si leva e spira nel punto stesso”.

Nell'immagine in alto l'eruzione dell’Eyjafjallajokull in Islanda. In basso il dipinto di Saverio Della Gatta "Eruzione del Vesuvio del 1794" 

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