sabato 31 dicembre 2011

Addio al 2011

L'anno si apre con una Luna incerta !


Ma la saggezza orientale aiuta ...


... con grazia ...


... anche offrendo un momento di relax ...



L'emozione dell'incontro con il giovane genio Zhang Haochen


e con il Maestro Tsung Yeh



La maestosita' della Porta di Brandeburgo


e la suggestione del lago di Zurigo



A colazione con Fabio Cannavaro



L'anno si chiude con un incontro Reale, con Carlo di Borbone



Il futuro si preannuncia migliore...


A U G U R I   P E R  U N  G R A N D E  2 0 1 2 ! ! !

venerdì 23 dicembre 2011

A U G U R I

Gli Auguri migliori di
 Natale Sereno  
e di un 2012
ricco di realizzazioni importanti


domenica 11 dicembre 2011

Il Piacere di un Flash Back

Mi hanno fatto un regalo!

Philip, della cui amicizia vado orgoglioso, mi ha donato un’eccezionale carta geografica del ‘600 dell’Africa nord-occidentale, in omaggio alla mia passione per la storia e alla mia permanenza, per oltre quattro anni, in quella regione. Philip è un vero gentiluomo, anzi un gentleman, essendo per metà inglese, di quella razza che sembra essere in via di estinzione e con gratitudine gli riconosco l’opportunità offertami di ritornare a quei luoghi, colmi di storie che si dipanano tra culture e avvenimenti solo apparentemente diversi.
Africa Nord Occidentale nel '600
L’Africa del nord-ovest – oggi regno del Marocco – è una regione ove talune pratiche si perpetuano da più di tremila anni con i medesimi tempi e le stesse cadenze, spesso ancora rispettose dei ritmi della natura. Certamente la regione vanta località belle e famose, capaci di attrarre visitatori esclusivi, proprio per lo charme che le pervade, come può essere la Marrakech di Yves de Saint Laurent o la Tangeri di Tahar Ben Jelloun. Eppure, a me piace ricordare soprattutto una piccola città marinara, importante per i commerci dei fenici, l’orgoglio del potere imperiale romano, l’intraprendenza dei navigatori portoghesi, la voglia di sensazioni piacevoli di Jimi Hendrix e di Bob Marley.

Essaouira, l’antica Mogador, è da sempre famosa per la produzione della porpora, quella utilizzata per i paramenti degli imperatori romani (oro e porpora, ancora oggi i colori di Roma, impropriamente banalizzati in giallo e rosso), costituendo un habitat ideale per la vita dei crostacei murici che ci regalano, per l’appunto, la porpora. I fenici sono stati i primi tintori del Mediterraneo e, sfruttando la produzione e la commercializzazione di tale pregiatissima porpora, impiantarono forse la prima industria dell’intera civiltà del Mediterraneo, anche se saranno le tuniche per gli Imperatori romani a rendere eterna la fama di tale porpora!
Essaouira vista dal mare
Ma dinanzi alle coste di sabbia bianca di Essaouira, oggi paradiso di surfisti ed amanti del sole generoso che bacia quella terra, hanno incrociato navi  fenicie, cartaginesi, romane, arabe, portoghesi, olandesi, inglesi, francesi per incontrare i mercanti provenienti dal centro dell’Africa e le carovane partite da Timbuctù. Piume di struzzo, sale, spezie, alose, zucchero, cereali, porpora, cavalli, oro, stoffe... A Essaouira si trovava tutto ciò che potevano sognare un marinaio o un imperatore. Nella seconda metà del ‘700 si svolgeva ad Essaouira circa il 40% del commercio del Marocco (all’epoca ricco stato indipendentemente che sarà il primo a riconoscere gli Stati Uniti d’America, come testimonia la lettera di ringraziamento di George Washington, conservata a Rabat). 
Jimi Hendrix. La sua visita ad Essaouira ha reso questo luogo
 tappa obbligata  delle carovane hippie  
Ma Essaouira è anche la riserva ove da aprile a ottobre si danno convegno i Falchi di Eleonora per la stagione della loro riproduzione, prima di far ritorno nel Mediterraneo o a sud, fino al Madagascar.

Più recentemente, nell’estate del 1969, la magia di Essaouira ha attratto Jimi Hendrix (che qui avrebbe amato Colette Mimram) e Bob Marley, facendola così divenire una tappa obbligata delle carovane hippie alla ricerca del nirvana. Volentieri si percorrevano le stradine costeggiate da case bianche con le imposte blu e ci si incantava al sottile chiaroscuro della piazzetta di Bab el-Sebaa o nel seguire le esclamazioni dei pescatori intenti a distendere le reti o a scaricare le cassette di pesce argentato, ricche di aromi che stuzzicano le narici. Sulla Skala della Casbah sono ancora allineati i cannoni di Essaouira e proprio questo luogo, emerso dal passato, fu scelto da Orson Welles per girare le scene in esterno del suo Otello.
Magari la sfrenata ricerca estatica della verità propria dell’hippie degli anni andati non è più di moda, ma il piacere di questo flash-back è senza dubbio un gran regalo del mio amico Philip!

domenica 13 novembre 2011

Il Commiato

La copia della Verità svelata dal Tempo di Tiepolo
dopo l'intervento censorio
La rievocazione delle gesta del Governo Berlusconi riempie i siti e le pagine dei giornali di mezzo mondo. Sebbene questo Blog tradizionalmente non si occupi di politica, oggi anche noi desideriamo ricordare il Governo che lascia con un episodio dell’estate 2008, certamente minore ma forse ricco di simboli.
Sullo sfondo della sala di Palazzo Chigi ove il Presidente del Consiglio incontra i giornalisti si trova una copia de “La Verità svelata dal Tempo” di Giovanbattista Tiepolo. L’opera raffigura allegoricamente una giovane donna che, mollemente posata su un soffice tappeto di nubi, rappresenta la Verità. Il corpo nudo, morbido e sensuale della giovane è stretto tra le braccia del Tempo, rappresentato, secondo tradizione, da un vecchio la cui pelle raggrinzita contrasta nettamente con le carni rosee e levigate della fanciulla.
Nell’estate del 2008, quindi proprio all’inizio dell’attività del nuovo Governo, un moto di pudicizia portò alla copertura del seno della giovane donna che, infatti, ora non appare più nuda.

Tale episodio, esso stesso felice allegoria dei costumi di cui saremmo successivamente venuti a conoscenza, non costituisce una novità per Roma, città talmente abituata ai cambiamenti che ne resta totalmente estranea, attendendo, agnosticamente e con umorismo beffardo, il prossimo mutamento.
Il Monumento funebre a Paolo III Farnese
con le statue della Giustizia e della Prudenza
Prima che il Governo Berlusconi decidesse la copertura del seno della giovane donna, erano state ad esempio coperte le nudità michelangiolesche della cappella Sistina. Ma l’episodio certamente più gustoso riguarda la “Statua della Giustizia” che assieme alla “Prudenza” orna il monumento funebre di papa Paolo III Farnese in San Pietro.

La ‘Giustizia’, in realtà, ritrae Giulia Farnese, famosa per la sua bellezza, sorella di Paolo III e giovane amante di Rodrigo Borgia (Alessandro VI), mentre la ‘Prudenza’ raffigura Giovannella Caetani, madre di Giulia.
Il medesimo moto di pudicizia che ha portato all’intervento di Palazzo Chigi sulla copia dell’opera del Tiepolo, oltre quattro secoli prima aveva pervaso il Papa Clemente VIII che ordinò che “le statue della tomba di Paolo III di felice memoria siano levate oppure siano coperte in modo più decente”, anche in considerazione di “zinne, petto ed altre parti troppo lussuriose” e di “una coscia scoperta fino all’orlo del vaso naturale”.

Il francobollo commemorativo di Belli
Successivamente a Roma cominciò a circolare una voce su di un pellegrino sorpreso proprio in San Pietro a masturbarsi eccitato da quelle nude bellezze. La circostanza è perfino ripresa da Giuseppe Gioacchino Belli in un Sonetto del maggio 1833 che recita:


È tanto bella ch’un signore ingrese
‘Na vorta un sanpietrino ce lo prese
In atto sconcio e co l’uscello in mano
Allora er Papa ch’era Papa allora
Je fece fa cor bronzo la camicia
Che ce se vede ai tempi nostri ancora


Non sono, invece, ancora del tutto noti gli sviluppi successivi all’intervento sulla copia dell’opera del Tiepolo in Palazzo Chigi.




domenica 23 ottobre 2011

Da Caterina a Giulia

È nata! Finalmente è nata la figlia del Presidente francese Nicolas Paul Stéphane Sarközy de Nagy-Bocsa e della modella e cantautrice italiana Carla Gilberta Bruni Tedeschi, ereditiera della fortuna creata del nonno, Virginio Bruni Tedeschi, con gli pneumatici Ceat, marchio venduto a Pirelli negli anni 1970 e che ora sopravvive (peraltro con eccellenti performance) in India, in virtù di un accordo che risale a oltre cinquanta anni fa.
In realtà, non è la prima volta che la première dame di Francia proviene dall’Italia. Il precedente illustre risale a cinque secoli fa, quando la quattordicenne Caterina, figlia di Lorenzo II de' Medici duca d'Urbino e di Maddalena de-la-Tour d'Auvergne, andò in sposa a Enrico d’Orleans, il futuro re Enrico II.
Caterina de' Medici (1519-1589)
Caterina era nata a Firenze nel 1519 e perse molto presto ambedue i genitori, divenendo perciò la sola ereditiera di un’immensa ricchezza. Della sua educazione si occupò uno zio paterno, il cardinale Giulio de’ Medici, futuro papa Clemente VII, il quale fece di Caterina una delle donne meglio educate e più istruite del tempo. Quando Caterina aveva quattordici anni, Clemente acconsentì alla richiesta del potentissimo Francesco I di Francia che voleva darla in sposa a suo figlio Enrico d’Orleans.
Il matrimonio fu celebrato a Marsiglia il 27 ottobre 1533. Per impressionare la potente Corte di Francia, Caterina che era piccola di statura (“piccola e snella, con capelli biondi e sottili, non bella in volto, ma con gli occhi caratteristici a tutti i Medici”) si rivolse a degli artigiani fiorentini che prepararono per lei le prime scarpe con tacchi alti. Caterina rese anche popolare l’uso della gorgiera, un rigido colletto pieghettato di dimensioni appariscenti, divenuto essenziale nel guardaroba, maschile e femminile, del nobile del ‘500 e del ‘600.
Educata nelle più ricche e sofisticate corti dell’epoca, Caterina si trovava a disagio per il cattivo odore che sembra emanasse il suo sposo, poco incline alla cura del suo corpo. Perciò impose a corte l’uso di profumi che faceva arrivare principalmente dalla Germania: introdusse così ai francesi l’eau de Cologne. 
Rilevante l'influenza della tradizione
toscana sulla 'Cucina Francese'
Oltre agli innumerevoli servitori (governante, tre cuoche del Mugello, alcuni pasticceri, un gelataio di Urbino, Ruggeri, in precedenza premiato a Firenze per la creazione del dolcetto gelato, che al banchetto nuziale di Marsiglia stupì tutti con il suo "ghiaccio all'acqua inzuccherata e profumata”), al seguito di Caterina giunsero in Francia tutti gli odori, gli ingredienti e le prelibatezze della Toscana, che oggi fanno grande la cucina francese: la salsa colla (la bèchamel, comunemente ritenuta creazione di Luis de Bèchamel, gran ciambellano di Luigi XIV), la zuppa di cipolle (soupe à l'Oignon), il papero con la melangola (evolutosi nel Canard à l'Orange), la rustica frittata (ingentilita nell’omelette), il fegato farcito (fois en peluche), e tutta una serie di verdure (cardi, scalogni, fave, zucchine, sedano, cipolle, carciofi).
Durante il regno del marito, Caterina si occupò poco di politica. Ma alla morte di Enrico si rivelò madre ‘presente’ di ben tre re di Francia (Francesco II, Carlo IX ed Enrico III) e governante abile e spregiudicata nei burrascosi anni delle guerre di religione (ordinò lei la strage degli ugonotti della notte di San Bartolomeo del 1572, dopo la quale fece celebrare un solenne Te Deum di ringraziamento) e delle estenuanti lotte con la Spagna di Filippo II e l'Inghilterra di Elisabetta I.
Ora non sappiamo cosa il destino riserverà alla piccola Giulia, certo il paragone con il precedente è piuttosto impegnativo. Auguri!

 

domenica 9 ottobre 2011

Il Buon Governo

Nel 1689 John Locke pubblica i “Trattati sul Governo”
Lo Stato moderno, cosi come noi lo conosciamo in Occidente da Locke e Montesquieu in poi, si fonda sulla separazione dei poteri, nel presupposto che un equilibrio tra le diverse funzioni garantisca il buon andamento della Cosa-Pubblica. Chiunque abbia il potere tende ad abusarne fin che non trova un limite – era il pensiero di Montesquieu - e, pertanto, per evitare la possibile degenerazione è stata creata quell’architettura che è lo “stato di diritto” per cui la funzione legislativa, quindi la creazioni delle norme atte a regolare il convivere civile, viene esercitata dal Parlamento; la funzione amministrativa, vale a dire l’applicazione delle leggi, è affidata al governo nelle sue diverse espressioni; la funzione giurisdizionale, quindi il garantire il rispetto delle leggi, viene esercitato dal giudice.
L’esperienza recente del Belgio, tuttavia, ha incrinato tali ‘saldi’ principi. Il paese, infatti, ha potuto vivere quasi 500 giorni senza un governo. La “Macchina Statale” ha lavorato senza problemi, paradossalmente sembra addirittura beneficiando dell’assenza di un governo nel pieno delle funzioni: ha ben gestito il semestre di presidenza della Unione Europea, ha garantito una coerente partecipazione all’intervento militare in Libia, ha perfino visto aumentare, seppur in maniera non eccessiva, il PIL.
Il Belgio, senza governo da quasi 500 giorni 
Il Governo “provvisorio” poteva curare i soli ‘affari correnti’ e garantire la continuità dello Stato. Ciò ha tra l’altro comportato un rigore nella politica di bilancio, in quanto ciascun Ministro non poteva che spendere in ogni mese un dodicesimo di quanto stanziato nel bilancio dell’anno precedente, senza facoltà alcuna di assume nuove iniziative di spesa.
Tale situazione ha perfino giovato all’immagine dei funzionari delle varie amministrazioni: abbandonando l’abituale lavoro ‘dietro le quinte’, finalmente hanno potuto prender su se stessi tutti i meriti del buon funzionamento statale ed assurgere a “guardiani del paese e della prosperità”. Hanno perfino sbloccato situazioni vecchie di anni con realizzazioni che lo stallo politico ha consentito di portare a compimento nell’interesse dei cittadini quali, ad esempio, l’archivio elettronico delle pensioni individuali che il Ministero del Welfare rimandava da anni.
Da Bruxelles giunge ora la notizia che alcuni partiti (otto per la precisione) hanno raggiunto un accordo per la formazione di un governo nel pieno delle proprie funzioni e capacità. Pur senza evocare situazioni a noi più vicine, resta forte il quesito su come la popolazione accoglierà il ritorno a un Governo pieno, dopo l’esperienza di “buon governo” resa possibile proprio dall’assenza di un Governo.


venerdì 30 settembre 2011

Un Nobile

Andrew Jackson, il settimo presidente degli Stati Uniti, era un uomo particolarmente perseverante, testardo. Talmente testardo che i suoi avversari repubblicani, nel corso della campagna elettorale del 1828 che lo porterà alla Casa Bianca, lo sminuivano e, irridendolo, lo presentavano come un asinello. Risale proprio a questi episodi l’adozione dell’Asinello a mascotte, a simbolo (non ufficiale, in verità) del Partito Democratico degli Stati Uniti.
L'Asinello è la mascotte del Partito Democratico
Quantunque eclatante, questo non è che uno dei molteplici esempi in cui l’Asino viene usato per insultare. In molte lingue dare dell’asino è una offesa, anche seria, e ancor oggi le ‘orecchie d’asino’ sono irrisioni efficaci. Claudio Bisio ha perfino recitato in “Asini”, un film in cui ragazzi eccessivamente buoni non riescono a star al passo col tumultuoso divenire della società.
E, invece, pur così denigrato, l’Asino è un animale antico e nobile. Le prime notizie (positive!) risalgono a settemila anni fa, presso le civiltà della Mesopotamia. Dal suo nome semitico (Athon) derivano gli appellativi che ritroviamo in innumerevoli lingue mediterranee ed europee: dal greco ònos al latino asinus, dal tedesco asni all’inglese ass, allo slavo osilu, al francese âne, all’arabo hmar. .
Di natura forte e robusta, ma sobrio e frugale, l’Asino è innanzitutto paziente. Talmente paziente da aver consentito all’uomo, nel corso dei secoli, di trattarlo con una rudezza che non si riscontra in nessuna altra relazione dell’uomo verso animali addomesticati. E ciò nonostante l’Asino abbia collaborato allo sviluppo dell’Uomo.
L'asino domestico svolgeva le stesse mansioni del cavallo, pur rimanendo meno costoso accontentandosi di poco, e per tale ragione i contadini più poveri lo preferivano al cavallo, da cui la denominazione di “cavallo del povero”. Ma l’Asino è stato anche un importante mezzo di trasporto sulle strade di montagne e si rivelerà fondamentale in molte battaglie della Prima Guerra Mondiale.
Un esemplare di Asino Ragusano
L’Asino ha perfino recitato un ruolo rilevante nel Vangelo di Gesù: presiede alla Sua nascita, assumendo addirittura l’onere di scaldarlo nella mangiatoia di Betlemme, e sarà proprio cavalcando un puledro d'asina che Gesù entrerà trionfante in Gerusalemme, mentre una grande folla lo osannava. La stessa folla che qualche giorno dopo lo condannerà alla crocifissione, preferendogli Barabba.
E, ancora, l’Asino ci offre il suo latte. Certamente a fini cosmetici (come non ricordare i bagni in latte d’asina di Cleopatra!) ma soprattutto per l’alimentazione, essendo il suo latte il più simile a quello della femmina dell’uomo. Ippocrate lo raccomandava per ogni tipo di problema (avvelenamenti, intossicazioni, dolori articolari, cicatrizzazione delle piaghe) mentre Georges-Louis Leclerc, il conte de Buffon, naturalista e biologo della Francia del ‘700, lo segnala nella sua Storia Naturale. Ai suoi tempi vennero impiantate a Parigi numerose “stalle asinine”, dove le signore eleganti si recavano per ottenere la preziosa bevanda.
Senza scomodare l’Asino d’oro di Lucio Apuleio o la Bibbia con l’Asinella parlante del mago Balaam, si può ricordare l’Asino Lucignolo, il compagno d’avventure di Pinocchio nel paese dei balocchi.
Insomma, proprio un genuino e Nobile Amico dell’Uomo ora ritiratosi in disparte, in questa nostra epoca eccessivamente rude e sbrigativa, perfino per un essere forte e robusto, ma pur sempre sobrio e frugale!


sabato 6 agosto 2011

Altolà: un antico Charlie Check-Point

Nella Berlino di oggi è certamente tra i luoghi cult più visitati e fotografati. Finti soldati americani e sovietici, per qualche euro, acconsentono a farsi riprendere in compagnia di turisti per testimoniare – seppure in maniera burlesca – il superamento delle tensioni degli anni della guerra fredda. Tale “punto di confine” fa volare la mente agli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo e ai mitici scambi di spie (almeno tre) tra i sovietici e gli occidentali, pur se, in verità, tali scambi avvenivano non a Charlie Check-Point ma al Ponte di Glienicker, nei pressi di Potsdam. Celeberrimo quello avvenuto il 10 febbraio 1962 tra Francis Gary Powers, il pilota dell’U-2 abbattuto nei cieli sovietici durante un ‘routinario’ volo di “raccolta di informazioni”, ed il colonnello del KGB Rudolf Ivanovich Abel, nota spia sovietica.
Charlie Check-Point di Berlino: oggi un'attrazione turistica
Tali ‘pratiche’ furono anche celebrate nel 1966 in “Funerale a Berlino”, un pregevole film inglese di spionaggio con Michael Caine.
Nel passato, tuttavia, anche noi abbiamo avuto il nostro Charlie Check-Point: era sul fiume Panaro, in Emilia, ove per secoli è corso il confine tra lo stato pontificio e il ducato degli Estensi. Si chiama Altolà.
Oggi Altolà è una piccola frazione del comune di San Cesario sul Panaro, in provincia di Modena, proprio a ridosso del ponte sull’affluente del Po. Poco distante sorge un caseggiato sul quale ancora oggi troneggia la scritta “Guardone”, che ci piace credere esser esclusivamente la sede del corpo di guardia. Dal lato dello stato pontificio, invece, il primo centro che si incontra è California, anzi la California, come si dice da quelle parti, in maniera evidentemente più rispettosa dell’etimologia latina “calida forma”, zona calda,  rinomata per la produzione di talune varietà di frutta di eccellente qualità.
La storia non ci ha tramandato epici scambi di spie, e neppure di umili prigionieri, avvenuti ad Altolà. La letteratura, invece, ci racconta attraverso la penna di Alessandro Tassoni della “Secchia rapita”, il furto di una secchia da pozzo rapita dai modenesi durante un conflitto con i bolognesi.
Al contrario, resta tutt’oggi assai vivace la rivalità tra le donne di Altolà e quelle della California, quindi tra le discendenti del ducato degli Estensi e quelle dello stato pontificio. Non è chiaro se tale conflitto secolare risalga alla Secchia rapita di Tassoniana memoria, ovvero alla contesa per qualche milite in servizio nel caseggiato detto “Guardone”.

domenica 24 luglio 2011

Un’Emozione

Appartengo a una generazione per la quale la “Sinfonia dal Nuovo Mondo” è una mirabile composizione di Dvorak e l’orchestra sinfonica è la Filarmonica di Berlino diretta da von Karajan.
Dovevo ancora imbattermi in Tsung Yeh e, soprattutto, in Zhang Haochen!
Mi era stato insegnato che il primo violino accoglieva e rappresentava l’Orchestra di fronte al Maestro e mai avrei pensato di assistere alla stretta di mano tra il Direttore d’Orchestra – il Grande Maestro Tsung Yeh – e il “primo Gaohu”, maestro Li Bao Shun.
Risale al 1104 la prima notizia sul Gaohu
Il concetto stesso di orchestra, nella cultura musicale asiatica è piuttosto recente, al massimo può andar indietro di cento anni. In precedenza erano ‘ensemble’ di pochi musicisti che suonavano, facendo vibrare corde di seta il cui suono veniva poi amplificato in casse di bambù, e più raramente di legno. E da mille anni gli strumenti sono il Gaohu, l’Erhu, lo Zhonghu, il Liuqin, lo Zhongruan: strumenti impossibili da suonare “senza che il cuore e la stessa mente siano aperti”.
Oggi si è affermato anche in Asia il concetto di orchestra, ma con strumenti della tradizionane orientale e con composizioni che devono esser scritte per tali strumenti, oppure esser arrangiate e adattate alla musica di tali strumenti a due o tre corde (nel passato di seta, oggi metalliche o miste) che si caratterizzano per una diversa lunghezza del manico, ma soprattutto per la diversa grandezza della cassa, spesso in bambù.
Eric Watson, un compositore britannico trapiantato a Singapore, ha creato proprio per tali strumenti una “Terra sotto il vento”, sensibilissima rappresentazione, al cuore prima ancora che alle orecchie, delle emozioni e dei suoni che possono suscitare l’atmosfera di Sabah e la vista del Monte Kinabalu (nel Borneo malesiano). Tali strumenti, cosi apparentemente lontani dai nostri, riescono a riprodurre i suoni, le emozioni, le sensazioni, le atmosfere che Joseph Conrad e W. Somerset Maugham hanno saputo descrivere nei loro libri ma che ora è possibile rivivere nella drammaticità maestosa della celebre Rapsodia del Fiume Giallo (colonna sonora di tanti film con ambientazione asiatica) nella sapiente interpretazione del Maestro Tsung Yeh e delle magiche affusolatissime mani del pianista Zhang Haochen.
Zhang Haochen
Zang Haochen ha solo 21 anni, ma è già un grandissimo del pianoforte. È straordinaria l’emozione che è capace di trasmettere attraverso le sue interpretazioni sia di melodie asiatiche sia di composizioni europee. La grandezza di quest’Artista stride terribilmente con il suo atteggiamento, quasi impacciato: un grande e già maturo talento si è incarnato in un corpo ancora troppo giovane.
Certamente grato per l’opportunità unica di aver potuto vivere direttamente un’emozione nuova e profonda, tuttavia il “vecchio Europeo” appena rincasato è tornato a Bach e Vivaldi, Beethoven e Wagner.

 
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domenica 17 luglio 2011

Da Aux Villes d'Italie alla Central Retail Corporation

Il 1917 fu un anno davvero difficile, il quarto della ‘Grande Guerra’. Certo Ungaretti compose “Mattina”, una tra le sue più celebri poesie, e la Madonna fece la prima apparizione a Fatima. Ma fu anche l’anno di Caporetto e della Rivoluzione russa.
In quello stesso anno, i fratelli Romualdo e Senatore Borletti rilevarono un grande magazzino di Milano, Aux Villes d’Italie, evoluzione di successo del piccolo negozio creato da Ferdinando Bocconi nel 1865 in via Radegonda, che proponeva solo abbigliamento pronto moda.
Ferdinando Bocconi
I Fratelli Borletti erano abbastanza vicini a Gabriele D’Annunzio e, infatti, saranno tra i principali finanziatori della ”Impresa di Fiume”. Essi collezionavano manoscritti del Vate, sebbene spesso a loro insaputa ‘apocrifi’ giacché il Poeta, sempre attento al lucro, faceva redigere copie dei suoi manoscritti al figlio Gabriellino che aveva imparato alla perfezione la calligrafia barocca del padre. I Borletti affidarono proprio a D’Annunzio la creazione del nome da attribuire alla loro nuova attività, un nome che potesse rappresentare immediatamente l’idea del rilancio dell’azienda e che rievocasse anche le speranze di una nuova Italia.

Il Vate, per poche migliaia di lire (dell’epoca), diede fondo a tutte le sue risorse creative e generò il nome “La Rinascente”, accompagnato dal motto “L'Italia nova impressa in ogni foggia”.
Peraltro, a tale nuovo nome fu associato un ulteriore significato dopo il dramma della notte di Natale 1918, il primo di pace, quando un corto circuito mandò a fuoco il Grande Magazzino appena rinnovato, obbligando i Borletti ad una nuova ‘rinascita’.
Un Poster realizzato da Marcello Dudovich
Con gli anni La Rinascente divenne un’azienda di grande successo e prestigio che, sospinta dalle campagne pubblicitarie di Marcello Dudovich, velocemente estese la sua presenza anche in altre città italiane. Nel 1928, inoltre, fu introdotto l’Upim, un magazzino a prezzo fisso, con prodotti che andavano da una a quattro lire, proprio per coprire anche un segmento di mercato meno sofisticato. Bisognerà, invece, attendere gli anni ’60 perché la diversificazione tocchi anche i generi alimentari, con l’apertura dei Supermercati Sma.
Il Gruppo La Rinascente era diventato non solo l’ammiraglia della grande distribuzione in Italia, ma costituiva anche un ricco asset, tale da interessare, con fasi altalenanti in verità, la famiglia Agnelli. Negli ultimi trent’anni la proprietà del Gruppo è passata varie volte di mano, senza mai perdere però l’appetibilità che deriva dalla sua storia di successo, dal suo nome, dalla sua articolazione.
Ecco, quindi, le ragioni dell’acquisto della Rinascente da parte della tailandese Central Retail Corporation: il gruppo – colosso particolarmente attivo nella grande distribuzione, nell’ospitalità e nell’immobiliare, con ricavi nel 2010 per 3,5 miliardi di dollari – per 260 milioni di euro (il prezzo fissato per l’acquisto) sarà in grado di avvalersi anche della Rinascente e del “made in Italy” per realizzare la propria strategia di espansione in Asia.
Sembra, peraltro, ripetersi la storia di Ferdinando Bocconi: la Central Retail Corporation data l’inizio della sua attività al 1947, quando il fondatore Tiang Chirativat aprì un negozio nel quartiere cinese di Bangkok.

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sabato 9 luglio 2011

In Memoria ?

Chi può dire se ottantacinque anni sono pochi, o molti, per morire? E poi, chi può stabilire una causa giusta per una morte?
Ha mancato l’ottantacinquesimo compleanno per soli tre giorni: infatti, era nato il 9 luglio 1926 e ha rappresentato subito una sfida imponente e prestigiosa. Alberto, suo padre, voleva che il neonato contribuisse alla crescita ma, soprattutto, desiderava che fosse innovativo, che riuscisse ad imprimere una svolta sostanziale e strutturale al modo di essere e costruire un futuro radioso, anche fuori casa.
Alberto Pirelli

Sin da giovane gli furono attribuiti incarichi importanti e totalmente nuovi, soprattutto per quei tempi. Capace di coniugare la qualità (decenni prima che il tema divenisse patrimonio condiviso) con la ricerca del nuovo, così da superare le impellenti necessità dettate dall’autarchia.
Ma fu il dopoguerra ad imprimergli il fantastico slancio che lo proiettò sulla scena internazionale sulla quale diventò di casa, in paesi e scenari radicalmente nuovi, riuscendo sempre a vincere le sfide dei tempi e in ciascun teatro.
E poi capì e seppe interpretare magicamente, e ben prima di tutti gli altri, le caratteristiche del mondo che cambiava. In quegli anni ‘miracolosi’, grazie a guide illuminate e compagni di viaggio straordinari, trovava la ricetta giusta per ogni situazione e per ogni nuova sfida. Quando lo scenario si fece veramente difficile, s’inventò la pazza idea che sfoggiare il lusso potesse pagare gli acquisti del necessario. Era ammirato e rispettato per la sua autorevolezza!
Poi il mondo cominciò a mutare ancora e una nuova classe - rozza e sbrigativa, in verità – si affacciò sulla scena, portando ‘valori’ nuovi, ruvidi. Lui rimase sempre più solo, altero nella sicurezza che gli derivava dalla sua visione strategica e lungimirante, forte di conoscenza e professionalità che, tuttavia, poco interessavano ai profeti di un “pragmatismo” eccessivo ed anche effimero, maestri di parole belle ma totalmente vuote.
La morte lo ha colto al culmine della solitudine: non era strumentale per i nuovi portatori di interessi invero bassi ed anche volgari, purtroppo gravemente dannosi per tutti. Restano, tuttavia, profonde ed indelebili i suoi saperi e i suoi strumenti, germogli certi per una nuova primavera che, forse non imminente, sarà ineluttabile e necessaria.

P.S. Alberto Pirelli, il 9 luglio 1926, fu il primo Presidente dell’Istituto Nazionale Esportazioni INE con la missione di declinare l’esperienza dell’imprenditore a favore del più vasto interesse generale. Dopo la seconda guerra mondiale, l’INE, divenuto Istituto Commercio Estero ICE, si proiettò su tutti i mercati mondiali, nei cinque continenti. Dopo la sede di Amburgo (1930), vennero Londra (1936), Johannesburg (1955), Singapore (1959), Pechino (1965), Lagos (1967) e via via fino ai 115 uffici nel mondo del 2011.

Fondamentale strumento della politica commerciale all’estero, l’ICE attraverso Uomini straordinari ed illuminati professionisti (Gronghi, Vanoni, Merzagora, Massacesi, per non citare che pochi dei suoi presidenti) contribuì grandemente allo sviluppo di positive relazioni commerciali con i nuovi attori che uscivano dalla decolonizzazione e con gli stessi paesi del blocco comunista. L’Ufficio ICE nella Pechino di Mao fu aperto molti anni prima dell’Ambasciata d’Italia e, negli stessi anni, sofisticate tecniche di marketing accompagnavano nei mercati più avanzati dell’Occidente, ma anche dell’Asia, le nostre aziende del lusso (moda, pelletteria, calzature, mobile, gioielleria, etc.), unitamente alle imprese dell’eccellenza meccanica, consentendo così di far fronte alla sempre più esosa bolletta energetica.
Negli anni più recenti, invece di far ricorso ai saperi che derivavano dall’autorevolezza goduta sui mercati internazionali grazie a professionalità e best practices da eccellenza che invitavano a scelte coraggiose e di maggior respiro, l’ICE veniva sempre più soffocato, perché non “strumentale” nel grigio dilagare del rozzo pragmatismo odierno.
Restano, tuttavia, forti e solidi i germogli dei saperi cui, in un futuro forse nemmeno eccessivamente lontano, occorrerà rivolgersi per rendere un servizio vero e reale ad un sistema paese troppo fragile di fronte al mondo pervaso dalla globalizzazione.

martedì 5 luglio 2011

Una Professione molto Difficile

Winston Churchill e Joseph Stalin
Henry Kissinger, il Segretario di Stato dell’America di Nixon, nelle sue Memorie su “Gli Anni della Casa Bianca” si sofferma sulla difficoltà incontrata dal suo  interprete a tradurre o meglio a rendere il concetto espresso da Andrei Gromyko, il potente Ministro degli Esteri dell’Unione Sovietica negli anni della politica della “Distensione”, quando affermava: ”non è impossibile non pensare che ...”.

Hillary Rodham Clinton con Silvio Berlusconi
Viene così alla mente il caso di quell’interprete che Joseph Stalin, il Primo Ministro sovietico durante e dopo la seconda guerra mondiale, fece ammazzare il giorno successivo all’importante incontro avuto con Churchill: Stalin semplicemente non voleva correre il rischio che si sapesse quanto da lui discusso e convenuto con Churchill (il cosiddetto “accordo delle percentuali” sull’influenza che le potenze vincitrici avrebbero esercitato sui diversi paesi liberati).
Molto più recentemente, le difficoltà e la necessaria discrezione proprie del lavoro di traduttore-interprete sono state rinverdite dalla vicenda del ventiduenne Renzo Bossi, detto da suo padre “il Trota”, Consigliere regionale della Lombardia. Questi avrebbe assistito - proprio quale interprete - il Presidente Berlusconi nell’incontro col Segretario di Stato americano Hillary Rodham Clinton (laureatasi in Legge all’Università di Yale). Ce lo ha fatto sapere - in verità solo per render pubblica una posizione di Berlusconi sulla guerra in Afganistan espressa proprio durante tale incontro - il padre del giovane interprete, il Ministro della Repubblica Senatore Umberto Bossi, che ha reso noto: "in quell'occasione c'era mio figlio Renzo a fare da traduttore, perché lui parla bene l'inglese, studia a Londra".
Il segno dell’evoluzione dei tempi ...


 

sabato 25 giugno 2011

In Principio era il Bestiame

 Tito Livio, il grande storico romano, ci ha tramandato la vicenda del primo sacco di Roma. Il 18 luglio del 390 a.C., nei pressi del fiume Allia, i Romani furono sconfitti dai Galli di Brenno che, quindi, poterono agevolmente entrare e saccheggiare Roma. Solo il Campidoglio resistette, anche al successivo assedio durato qualche mese.
Proprio durante l'assedio, un attacco notturno dei galli fu sventato grazie allo starnazzare delle oche del Campidoglio che in tal modo lanciarono l’allarme e richiamarono i soldati. Tali oche erano tenute nel sacro recinto del tempio di Giunone e per gratitudine alla dea protettrice, nel 353 prese avvio la costruzione del tempio a Giunone Moneta (cioè Giunone l’ammonitrice, Giunone che mette in guardia) ove, peraltro, ebbe anche sede la prima zecca, “officina moneta”, proprio dal nome del tempio. Ecco perché oggi noi chiamiamo il denaro moneta, gli inglesi money, i francesi monnaie.

Le grandi civiltà dell’antichità preromana non avevano ancora inventato il denaro che sarà introdotto, verso l’ottavo secolo a.C., da mercanti greci sotto forma di lingotti in metallo marchiati dalla “casa” emittente, a garanzia del peso e quindi del valore. I commerci avvenivano essenzialmente attraverso il baratto, lo scambio di merce contro merce. Uno dei beni più di frequente scambiato era il bestiame che, nell’intero Mediterraneo, divenne la merce di riferimento per ogni baratto. Deriva da ciò il termine “capitale” - e quindi capitalismo – essendo ‘capita’ il plurale di capus, cioè capo (di bestiame). Ed anche pecunia, denaro, deriva da pecus, bestiame.
La prima moneta romana fu di bronzo, ma Plinio il Vecchio ci informa che già nel 269 a.C. veniva coniato il “denario” in argento con i suoi sottomultipli quinario e sesterzio. Ben presto, inoltre, le divinità che in origine venivano rappresentate sul dritto delle varie monete per glorificare i protettori dell’Urbe, cominciarono ad esser sostituite da avvenimenti bellici o religiosi, quando non direttamente da effigi di personalità della famiglia dei magistrati che firmavano la moneta. Era nata una nuova e più efficace forma di propaganda!

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sabato 18 giugno 2011

Santa Passera

Il Martirologio Romano, l’elenco dei santi e dei beati riconosciuti dalla Chiesa cattolica, non la riporta. Eppure la piccola chiesa, che sin dal IX secolo sorge a Roma nell’ampia ansa che il Tevere disegna di fronte alla Basilica di San Paolo fuori le mura, è intitolata proprio a Santa Passera.


 La chiesetta è impreziosita da affreschi medioevali che raffigurano Cristo benedicente tra i martiri, Cristo tra gli apostoli, varie rappresentazioni di santi, soprattutto orientali. Vi si trova anche una scena che illustra il terribile combattimento tra angeli e demoni narrato da San Giovanni nell’Apocalisse. La cella ipogea, infine, è un vecchio sepolcro romano del III secolo e vi si conservano ancora pitture della Giustizia, di un atleta, di stelle decorative.
La Chiesa di Santa Passera, le cui origini restano incerte, sarebbe stata  eretta per accogliere le reliquie dei santi Ciro e Giovanni di Alessandria. Secondo la tradizione, i corpi dei due martiri, un medico di Alessandria d’Egitto e un soldato di Edessa divenuto suo discepolo, furono crocifissi e decapitati a Canopo in Egitto nel 303, durante la persecuzione di Diocleziano. S. Cirillo, Patriarca di Alessandria, portò le due salme nella chiesa di Menouthis (l’odierna Abukir), che da allora divenne uno dei santuari più famosi d’Egitto.


La Chiesa di Santa Passera a Roma
 Dopo la conquista araba, il santuario cadde in abbandono e per tale ragione le reliquie dei santi Ciro e Giovanni furono trasportate a Roma, proprio nella chiesa di santa Passera. Tale nome sarebbe, infatti, una distorsione fonetica di “Abbas Cirus” (Padre Ciro), divenuto poi Abbaciro, Appaciro, Appacero, Pacero, Pacera, per approdare infine a Santa Passera.

Tale interpretazione prevalente confligge, tuttavia, col pensiero di Mariano Armellini, uno storico dell’arte dell’Ottocento, che invece voleva che Santa Passera fosse una deformazione del nome di Santa Prassede, ipotesi non priva di ragioni, considerata la presenza di tale santa in vari affreschi della chiesetta. Però, va detto che già in un documento del 1317 si parla di un pezzo di terra “posita extra portam Portuensem in loco qui dicitur S. Pacera”.
Ancora oggi tutte le domeniche alle ore 10,30 nella chiesa di Santa Passera viene celebrata la Messa. Tuttavia, secondo una guida turistica inglese, a causa del nome - invero un po’ curioso - i devoti evitano di pronunciarne il nome, stante il recondito significato attribuito alla "santa" dal linguaggio popolare. Resta, invece, generalmente condivisa l’invocazione ‘che Iddio la benedica !’.

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domenica 12 giugno 2011

Il Mercato, di Mercoledi

Sono innumerevoli i luoghi ove ogni mercoledì si svolge un mercato, anzi il mercato. Tale antichissima consuetudine risale al patrocinio affidato a Mercurio che, presso i Romani, era la divinità che presiedeva al commercio (ma anche all’eloquenza, ai viaggi, all’inganno).
Già nel 495 a. C. gli era stato dedicato un tempio sull’Aventino e per secoli, alle idi di maggio, è stata celebrata in suo onore un’imponente festa: con l’acqua di una fonte di Porta Capena a lui consacrata i mercanti procedevano al rito dell’aspersione delle persone e delle mercanzie, per purificarsi delle colpe e, chissà, anche di qualche inganno.

Ma perché a Mercurio era (ed è tuttora) intitolato un giorno della settimana?
Furono i Caldei, più noti per le loro conoscenze astronomiche che per aver governato l’impero babilonese per circa un secolo, a “istituire” la settimana di sette giorni.

Ciascun giorno portava il nome di uno dei cinque pianeti (Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno) visibili ad occhio nudo – e già noti nell’antichità – oltre che del sole e della luna. Tali pianeti erano considerati interpreti e banditori della volontà divina e, attraverso il loro movimento e la loro differente posizione, annunziavano quanto avveniva in cielo che doveva poi compiersi in conformità sulla terra, immagine speculare del cielo.
Quando i Romani adottarono il sistema babilonese, si limitarono a sostituire il nome caldeo dei vari giorni della settimana con quelli di divinità latine, mentre presso i popoli di stirpe germanica, furono adottati i nomi delle divinità equivalenti: Tiw per Marte, Woden per Mercurio, Thor per Giove, Fria per Venere e così di seguito.

Quando l’Impero si è poi cristianizzato, fu necessario riformulare almeno il nome dei giorni più significativi e furono cosi introdotti il giorno del Signore, “Dominicus” o “Dominica dies”, invece del giorno del sole e Sabbatum o Sabbata, dall’ebraico Shabbat, al posto del giorno di saturno.
Ciò non è, tuttavia, avvenuto nei calendari delle lingue germaniche che hanno conservato gli antichi nomi “pagani”.

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domenica 5 giugno 2011

Alle origini dell’OK

Dobbiamo ad un maniscalco di nome Ahlund l’unica descrizione, ancorché piuttosto irriverente e pubblicata in Finlandia sei anni più tardi, della cerimonia del passaggio dei poteri sull’Alaska dai russi agli americani, avvenuta a Nuova Archangel, oggi Sitka, il 18 ottobre 1867.

La manifestazione coronava una trattativa la cui ultima lunghissima sessione si era conclusa, con la firma del trattato, alle 4 del mattino del 30 marzo 1867. L’Alaska veniva venduta per 7,2 milioni di dollari (equivalenti a circa 1,5 miliardi di nostri euro), vale a dire due centesimi di dollaro per acro, quindi 4,74 centesimi per chilometro quadrato.
In realtà, la positiva conclusione del negoziato risultava vantaggiosa per ambedue le parti. L’Impero russo dello Zar Alessandro II versava in una difficile situazione finanziaria, inoltre, dopo la sconfitta contro gli inglesi nella guerra di Crimea (1853-56) temeva di esser costretto a cedere quel proprio territorio all’ingombrante Potenza, particolarmente vivace nella confinante British Columbia canadese, ove si assisteva a una frenetica corsa all’oro.

Da parte americana l’acquisto innanzitutto ribadiva nei fatti la “dottrina Monroe” (l’America agli americani) e poi costituiva una forte presa di posizione nei confronti degli inglesi (che avevano quasi apertamente appoggiato i sudisti nella recente guerra di secessione) e nei confronti della Francia di Napoleone III, dopo la sconfitta inflittale mediante il fallimento dell’avventura di Massimiliano d’Asburgo in Messico e la sua fucilazione.
Nuova Archangel, ove avvenne il passaggio delle consegne e pose la sua residenza il nuovo governatore, generale Jefferson C. Davis, contava 116 case e 968 residenti. Dopo il passaggio della sovranità agli americani, molti dei 2500 russi che abitavano la “Penisola dell’Alyaska”, come la chiamavano gli zar, decisero di rientrare nella madrepatria, mentre altri, mercanti di pelli e uomini di religione, decisero di restare.
Tra i vecchi e i nuovi residenti, in chiara difficoltà di comunicazione linguistica, per confermare un accordo cominciò a diffondersi l’uso di una espressione russa - очень хорошо, - che significa molto bene, very good, le cui iniziali fonetiche sono OK.
Sì, proprio il nostro onnipresente OK!

domenica 8 maggio 2011

Le Zitelle e i Cuochi

Una lapide posta sulla facciata ricorda che la chiesa a Lui dedicata, nell’omonima piazza di Napoli, fu "edificata da re Carlo III in rendimento di grazie per aver ottenuto prole maschile". A Roma, invece, la Chiesa dei Quaranta Martiri, in via di san Francesco a Ripa in Trastevere, è più nota come la chiesa delle zitelle perché è lì che il 17 maggio, festa di San Pasquale Baylon, si recano a pregare le giovani da marito. A Torino, invece, la Sua fama è indissolubilmente legata ad una ricetta universalmente apprezzata.

Nato nel giorno di Pentecoste (Pasqua di Pentecoste, da cui il nome di Pasquale) del 1540 a Torre Hermosa in Aragona, da giovane fu garzone di un allevatore di pecore. A diciotto anni sarebbe voluto essere ammesso al convento di S. Maria di Loreto dei francescani riformati alcantarini, ma gli fu opposto un rifiuto. Tuttavia la fama di santità e alcuni prodigi compiuti gli aprirono le porte del convento, dove Pasquale Baylon poté emettere i voti religiosi il 2 febbraio 1564, come "fratello laico".
Pasquale, illetterato, trascorse gli anni della vita religiosa svolgendo la mansione di portinaio, ma è considerato addirittura "il teologo" dell'Eucaristia, non solo per le dispute che egli sostenne con i calvinisti di Francia, durante un suo viaggio a Parigi, ma anche per gli scritti che egli ha lasciato, una specie di compendio dei maggiori trattati sull’argomento. Morì, all'età di cinquantatre anni, a Villa Real nei pressi di Valencia, il 17 maggio 1592, giorno di Pentecoste. Nel 1618, veniva proclamato beato e nel 1690 santo.
La pietà popolare ha tradizionalmente legato il culto per questo Santo alla ricerca di un marito da parte delle ragazze. A tal fine, il 17 maggio, festa di San Pasquale Baylon, si può invocare la Sua intercessione mediante la seguente preghiera:

Oh San Pasquale Baylonne
Protettore delle donne
Deh, trovatemi un bel marito
Bello, forte e colorito
[Bianco, rosso e saporito, secondo un’altra versione]
Ma di certo a Voi uguale,
Oh glorioso San Pasquale!

Prodigiosa, inoltre, la visione di una donna di Torino che a Lui si era rivolta per la mancanza di desiderio da parte del marito. San Pasquale le apparve in sonno e le dettò una ricetta per un elisir che avrebbe vinto il problema: il liquore, a base di uova e vino marsala, in onore del santo fu chiamato il “san Bayon”, da cui il successivo zabaglione o zabaione.
Per tale straordinaria invenzione, dal 1722 san Pasquale de Baylon è stato proclamato protettore dei Cuochi, dando così inizio al perenne quesito su cosa possa legare le zitelle ai cuochi …

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domenica 1 maggio 2011

La Guerra per la Libia

Si racconta che Giacomo De Martino abbia raggiunto Ibrahim Hakki Pascià nella casa di una nobildonna, trovandolo immerso in una partita a bridge: levata la testa dalle carte da gioco e letto il documento sottopostogli, Hakki Pascià avrebbe esclamato: "è uno scherzo! Vero?".
Giacomo De Martino, diplomatico di antico lignaggio – Il nonno paterno, del quale egli portava il nome, era stato ambasciatore del Regno borbonico e per un breve periodo ministro degli Esteri – era l’incaricato d’affari dell’Ambasciata dell’Italia giolittiana a Costantinopoli, mentre Hakki Pascià era il Gran Visir, il Primo Ministro, dell’Impero Ottomano. Il giorno era il 28 settembre 1911 e il documento consegnato era l’ultimatum con il quale l’Italia, lamentando lo stato d'abbandono in cui versavano la Tripolitania e la Cirenaica, denunciava angherie ed ostacoli subiti dalle iniziative commerciali italiane in tali regioni. Il giorno successivo venne l’annuncio di "aver deciso di procedere all'occupazione militare della Tripolitania e della Cirenaica”.  
Cominciava così la guerra che avrebbe dato all’Italia una nuova colonia, la “quarta sponda” nel Mediterraneo, ma anche quel crescendo di ‘mobilitazione militante’ che tanto avrebbe inciso negli anni a venire.
La presa di Tripoli, avvenuta dopo una mezza mattinata di bombardamento dal mare e l’abbandono delle truppe turche, non comportò lo sparo di un solo colpo da parte dei duemila uomini del Capitano Umberto Cagni e fece scrivere a Luigi Barzini, inviato del Corriere della Sera, "nessuno si aspettava che così presto si insediasse la sovranità dell'Italia”.
Questa guerra registrò anche diverse applicazioni di nuove tecnologie. Con la collaborazione di Guglielmo Marconi, il Genio allestì il primo servizio regolare di radiotelegrafia. Tuttavia è l’introduzione dell’aereo – per ricognizione e per bombardamento – la più rilevante evoluzione bellica. Il 14 ottobre 1911 partì per il fronte la prima squadra aerea italiana, composta da nove aeroplani, con motore da 50 cavalli, undici piloti, 30 uomini di truppa con un sergente.
Il 23 ottobre 1911, Carlo Maria Piazza sorvolò le linee turche in funzione di ricognizione, mentre il 1 novembre, Giulio Gavotti effettuò il primo bombardamento aereo della storia lanciando sull’oasi di Ain Zara (l’Occhio di Zara) una bomba “cipelli” da due chili, grande quanto un’arancia.
Il giorno stesso ne informerà suo padre con una lettera nella quale descrive l’operazione: “vicino al seggiolino ho inchiodato una cassettina di cuoio; mi inoltro sul deserto in direzione di Ain Zara, piccola oasi dove avevo visto nei giorni precedenti gli accampamenti nemici. Dopo non molto tempo scorgo perfettamente la massa scura dell’oasi che si avvicina rapidamente. Con una mano tengo il volante, coll’altra sciolgo il corregile che tien chiuso il coperchio della scatola; estraggo una bomba, la poso sulle ginocchia. Cambio mano al volante e con quella libera estraggo un detonatore dalla scatoletta e lo metto in bocca. Richiudo la scatoletta; metto il detonatore nella bomba e guardo abbasso. Sono pronto. Circa un chilometro mi separa dall’oasi. Già vedo perfettamente le tende arabe. Vedo due accampamenti vicino a una casa quadrata bianca, uno di circa 200 uomini e l’altro di circa 50. Poco prima di esservi sopra afferro la bomba colla mano destra; coi denti strappo la chiavetta di sicurezza e butto la bomba fuori dall’ala”
Non erano ancora stati creati i missili intelligenti, né il GPS……



Nelle Immagini: Lo sbarco delle truppe italiane a Tripoli e Giulio Gavotti a bordo del suo Farman

domenica 10 aprile 2011

Non Solo Un Giorno

Sebbene l’eco delle celebrazioni della Festa della Donna sia già sopita, due importanti anniversari

consentono di ricordare ancora tale ricorrenza. Quest’anno, infatti, si ricorda il centenario della tragedia che ha poi ispirato la Giornata Internazionale della Donna; inoltre, sono passati esattamente cento anni anche dall’attribuzione ad una Grande Donna di Scienza del suo secondo Premio Nobel.
Mancavano soli pochi minuti alla fine del turno di quel sabato 25 marzo 1911 quando, in pochi istanti, il fuoco attaccò le balle di tessuto accatastate, dilagando su tre piani della Triangle Waist Company in Washington Place, a New York. Una morte orrenda colse 146 donne e bambine (le vittime italiane furono 39, oltre a dieci “disperse”). Lavoravano sessanta ore alla settimana, assunte attraverso una rete di subappalto interno: ciascun caporale gestiva e pagava sette operaie. Oggi parleremmo di lavoro interinale.

Non è chiara la ragione per la quale la Festa della Donna sia stata poi portata al giorno 8 del mese, ma è certo quanto tale drammatico episodio sia adatto a segnare un punto di svolta nella storia della donna.

In quello stesso 1911, il premio Nobel per la Chimica fu attribuito a Marie Sklodowska Curie, polacca per nascita, francese per matrimonio. Solo cinque anni prima, assieme al marito Pierre, le era stato assegnato il premio Nobel per la Fisica, ma nel frattempo il marito era morto a Parigi per incidente stradale, investito da una carrozza trainata da cavalli imbizzarriti.

Marie era nata a Varsavia nel 1867 e dedicò la sua intera vita alla scienza. L’umanità le deve la teoria della radioattività (termine da lei stessa coniato), le moderne tecniche di isolamento degli isotopi, la scoperta di due nuovi elementi: il polonio ed il radio, ambedue da lei denominati in omaggio alla terra che le aveva dato i natali.

Cento anni, insomma, per due celebrazioni solo apparentemente distanti.




Nelle Immagini: l'incendio alla Triangle Waist Company e Marie e Pierre Curie