mercoledì 15 luglio 2009

Petimus Bene Vivere

Caro Mass,
permettimi di intervenire a commento del tuo interessante post sugli effetti della crisi, o meglio sul tuo quesito inespresso se la crisi non rischi in realtà di lasciare le cose come stavano, senza quella funzione catartica che molti, invece, prevedono e perfino si attendono dalla presente Tempesta, come tu la chiami.
Gianni Riotta ha recentemente ricordato come già vent’anni fa Fukuyama aveva intuito che le ideologie figlie della Rivoluzione Francese declinavano allo schiudersi dell’era informatica. Abbiamo assistito, in un volgere evidentemente troppo breve, al tumultuoso passare di un miliardo di esseri umani dalla fame a uno stato più dignitoso e mezzo miliardo di loro, tra Cina ed India, divenire ceto medio. Per costoro ieri il miraggio era una ciotola di riso oggi il sogno (spesso realizzabile) si chiama Louis Vuitton o Prada.
Ma nel contempo il mondo, perduto il proprio ordine e, forse, perfino le potenze egemoniche ma stabilizzanti, si dibatte nella ricerca di un nuovo ordine planetario per uscire dal presente caos.
Mai più di oggi suona appropriata la saggezza di Orazio, Strenua nos exercet inertia: navibus atque quadrigis petimus bene vivere... (Un'inerzia irriducibile ci frustra e andiamo per mari e terre inseguendo la felicità…)
Un caro saluto
P. Agora

domenica 12 luglio 2009

Gli Effetti della Crisi ?

Singapore, a giusto titolo considerata una delle più importanti economie di servizi, ha deliberatamente scelto di mantenere almeno ad un quinto il contributo alla composizione del Prodotto Interno Lordo dal settore industriale. E’ un dato importante se, ad esempio, si considera che nel Regno Unito meno del 14% del Pil proviene dalla produzione di beni.

Quindi, la tendenza alla “terziarizzazione” sembra compiuta e non meraviglia la composizione della classifica 2009 delle principali 500 aziende al mondo che Fortune redige annualmente.

Ai primi posti si collocano - con fatturati ed utili ben superiori alla maggior parte degli Stati del mondo – aziende petrolifere (ben sette tra le prime nove) e di servizi (distribuzione organizzata, assicurazioni, banche). Solo al decimo posto troviamo la prima impresa industriale, la giapponese Toyota, peraltro solo al 30˚ posto per numero di dipendenti.

Non può sorprendere, ovviamente, l’importanza sempre maggiore che assumono le imprese delle tecnologie. Dopo le “scontate” General Electric (dosicesima) e Siemens (trentesima), si afferma la HP, al trentaduesimo posto con 120 miliardi di dollari di fatturato ed utili ben superiori ad una “manovra” finanziaria italiana. HP, Hewlett e Packard: ricordate i due giovani studenti che nemmeno trent’anni fa, in un garage della periferia di Los Angeles, avevano intuito che il computer non era una macchina per la gestione di gigantesche burocrazie, ma poteva servire per comunicare tra individui?.

E l’Italia? Sono dieci le aziende italiane nella classifica di Fortune. Forse non male per un paese che ha eletto le medie e le piccole imprese ad icona del proprio modello di sviluppo. Dopo l’ENI (17ˆ non solo grazie ai picchi del prezzo del petrolio registrati lo scorso anno), vi si trovano Generali, Uncredit, Enel e Fiat.

Ma una domanda aleggia prepotente: è questa la scala dei “valori” delineata dalla “Tempesta” provocata dalla crisi nel quale il mondo si dibatte?

domenica 28 giugno 2009

Lezioni di Vita

Prima Lezione
Uno studente di medicina, dopo qualche mese di università, ad uno dei suoi primi esami. Gli fu somministrato un questionario. Essendo un buon allievo, egli rispose prontamente ad ogni domanda salvo l’ultima che era: “Qual’è il nome della donna delle pulizie della facoltà?” Nel consegnare il proprio compito, chiese al professore se l’ultima domanda del test avrebbe contato per il voto. “E’ chiaro!” rispose il professore. “Nella vostra carriera incontrerete molte persone. Hanno tutte il loro grado di importanza e meritano tutte la vostra attenzione, anche semplicemente con un sorriso od un ciao”. Quello studente non ha mai dimenticato che il nome della donna delle pulizie della facoltà era Marianna.

Seconda Lezione
In una notte di pioggia una signora di colore era sul lato della strada con l’auto in panne. Il temporale era tremendo e la donna, che aveva disperatamente bisogno di aiuto, cominciò a fare segnali alle auto che passavano. Un giovane bianco, come se non conoscesse i conflitti razziali che laceravano gli Stati Uniti negli anni ’60, si fermò ad aiutarla. Il ragazzo la portò in un luogo protetto, le procurò un meccanico e le chiamò un taxi. La donna sembrava aver davvero molta fretta, ma nel ringraziare il suo soccorritore riuscì ad annotare il suo nome ed indirizzo. Passati sette giorni, qualcuno bussò alla porta del ragazzo. Gli fu recapitato un enorme pacco contenente un grande TV a colori accompagnato da un biglietto che diceva: “molte grazie per avermi aiutata. La pioggia aveva inzuppato i miei vestiti ed il mio spirito ed in quel momento è apparso lei. Grazie a lei sono riuscita ad arrivare al capezzale di mio marito moribondo poco prima che se ne andasse. Dio la benedica per avermi aiutato. Sinceramente, Mrs. King Cole”

Terza Lezione
Tempo fa, quando il prezzo dei gelati era più contenuto, un bambino di dieci anni entrò in un bar e si sedette al tavolino. “Quanto costa un Sundae?” chiese ad una cameriera. “Cinquanta centesimi” rispose lei. Il bambinio prese delle monete dalla tasca e cominciò a contarle. “Quanto costa un gelato semplice?” In quel momento c’erano altre persone che aspettavano e la ragazza cominciò a perder la pazienza. “35 centesimi” gli rispose la ragazza in maniera un po’ brusca. Il bambino contò ancora una volta le monete e disse “allora mi porti un gelato semplice”. La cameriera gli portò il gelato e il conto. Il bambino finì il suo gelato, pagò il conto alla cassa e uscì. Quando la cameriera tornò al tavolo per pulirlo si commosse. Ad un angolo del piatto c’erano quindici centesimi di mancia per lei. Il bambino aveva chiesto il gelato semplice e non il Sundae per riservare una buona mancia alla cameriera.

Quarta Lezione
Una antica favola racconta che un re fece collocare una pietra enorme in mezzo ad una strada. Quindi, nascondendosi, rimase ad osservare per vedere se qualcuno si prendeva la briga di togliere la grande roccia in mezzo alla strada. Alcuni mercanti ed altri sudditi molto ricchi passarono e si limitarono a girare intorno alla pietra. Alcuni persino protestarono contro il re perchè non manteneva le strade pulite. Ma nessuno provò a rimuovere la pietra da lì. Ad un certo punto passò un campagnolo con un grande carico sulle spalle; avvicinandosi all’immensa roccia poggiò il carico a lato della strada tentando di rimuovere la grande pietra. Con molta fatica riuscì finalmente a muovere la roccia spostandola al bordo della strada. Tornò a prendere il suo carico e vi trovò anche una piccola borsa che conteneva molte monete d’oro e una lettera scritta dal re che diceva che quell’oro era per la persona che avesse rimosso la pietra dalla strada. Il campagnolo imparò quello che molti di noi neanche comprendono: tutti gli ostacoli sono un’opportunità per migliorare la nostra condizione.

martedì 23 giugno 2009

LECTIO MAGISTRALIS

Dal Blog “La Deriva” di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo
Corriere della Sera (15.6.2009)

Vogliamo rileggerla parola per parola, la «lezione» di democrazia data all' università di Roma da Muammar Gheddafi, al potere solitario da 40 anni esatti senza la scomodità delle elezioni? Trascrizione testuale stenografica: «La definizione di democrazia... Prima di tutto la democrazia è una parola araba che è stata letta in latino. Democrazia: demos vuol dire popolo. Crazi in arabo vuol dire sedia. Cioè il popolo si vuole sedere sulle sedie. Questa è l' origine etimologica della parola». «Se noi ci troviamo in questa sala siamo il popolo, seduti su delle sedie, questa andrebbe chiamata democrazia, cioè il popolo si siede su delle sedie. Invece se noi prendessimo questo popolo e lo facessimo uscire fuori, se avessimo invece preso dieci persone e le avessimo fatte sedere qua, scelte dalla gente che stava fuori, e loro invece sono seduti qua, quei dieci, questa non sarebbe da chiamarsi democrazia. Questa si chiamerebbe diecicrazia. Cioè dieci su delle sedie. Non è il popolo a sedersi sulle sedie, questa è la democrazia. Finché tutto il popolo non avrà la possibilità di sedersi tutto quanto sulle sedie, non ci sarà ancora democrazia». «Se noi diciamo che il popolo italiano conta 50 milioni, togliendo i bambini e gli anziani ne rimarrebbero diciamo 30 milioni. Li suddividiamo in mille congressi. Ogni congresso sarà composto di 10 uomini, oppure li suddividiamo in 2.000 congressi così ogni congresso viene a trovarsi composto da 5.000 persone. Come questa sala ce ne saranno altrettante 2.000 sale in Italia. In ogni sala ci saranno 5.000 persone. Quando moltiplichiamo i 5.000 per 2.000, il numero delle sale, troveremo che tutto il popolo italiano avrà potuto sedersi su delle sedie del potere. Si devono fare 2.000 sale uguali a questa, in tutte le città italiane, in tutti i villaggi italiani. Se gli abitanti di ogni zona si siederanno, uomini e donne nella loro sala, e proponessero qualsiasi legge... «Supponiamo che facciano una legge sul trattamento da riservare agli immigrati: tutto il popolo italiano studierà la legge seduto su delle sedie. Questi sono i congressi del popolo. E ogni congresso esprimerà la propria opinione sulla legge che sta esaminando. Poi tutti i delegati di questi congressi giungeranno a Roma, ci saranno 2.000 persone e ognuno porterà l' opinione del suo congresso espressa durante la discussione. Poi vengono formulate queste opinioni insieme per farne uscire un' unica legge dove vengono osservate e tenute in considerazione le opinioni di tutto il popolo. Viene emanata questa legge e questa rappresenterà la volontà del popolo italiano». «Se per caso si intende mandare un esercito per combattere in Afghanistan, presentiamo questa proposta ai 2.000 congressi italiani dove si trova tutto il popolo italiano. E ogni congresso esprimerà la sua opinione circa l' invio di forze in Afghanistan e i delegati porteranno l' opinione dei loro congressi. E viene formulata una legge fatta secondo le decisioni del popolo italiano. Verrà emanata questa legge e tutti dovranno comportarsi secondo i dettati di questa legge. Quindi, queste sono delle leggi emanate dal popolo. Questa è una politica designata dal popolo. Questa è la democrazia». «Ora in Libia, abbiamo 30 mila congressi, comunità. Ogni comune è composto da un centinaio di persone, così fanno 3 milioni. Questo è il numero dei cittadini libici che possono praticare il potere, gli altri sono minorenni, bambini, hanno meno di 18 anni o sono malati o sono assenti. Questi che praticano, esercitano il potere in Libia nessuno li ha eletti, eppure il popolo è lì. Tutti sono politici. Il popolo non accetta di eleggere una persona che lo comanda. Che lo governa». «L' alternanza del potere vuol dire che c' è della gente che si prende e si trasmette il potere tra di loro. Se ci fosse democrazia non ci sarebbe un' alternanza di potere. La democrazia significa il popolo che detiene il potere. Come fa a consegnarlo a uno? Il popolo reale ha il potere. E' per la democrazia popolare diretta. Come potrebbe eleggere delle persone perché lo governassero? Qualsiasi popolo che sia giunto al potere come lo è il popolo libico non lo cederà assolutamente. Il popolo libico è ormai arrivato alla fine del cammino, ossia l' esercizio della democrazia popolare diretta. Auguriamo che la raggiungano anche il popolo italiano e gli altri popoli del mondo. Finché ci sono le elezioni c' è la "rappresentanza" del popolo». Ora: in nome del bene comune o almeno del danno minore ogni uomo di governo ha il dovere (non il diritto: il dovere) di cercare accordi, se possibile e senza vendere l' anima, con tutti. Tutti. Nei rapporti internazionali è così: non sempre puoi sceglierti il vicino. E neanche l' interlocutore. Né si poteva pretendere che Luigi Frati, il ruspante rettore della Sapienza celebre per aver allestito nell' aula magna di medicina la festa di nozze della figlia Paola (docente della sua stessa facoltà come anche la moglie Luciana e il figlio Giacomo) sapesse l' arabo e chiedesse perciò lumi al Rais sul fatto che in arabo «popolo» si dica «shàb». Ma al di là del dubbio che perfino sull' etimologia araba di «democrazia» l' estroso dittatore si sia preso lo sfizio di prendere per i fondelli tutti, che senso c' è a offrire una tale passarella accademica nella più grossa università italiana, con inchini e salamalecchi e perfino uno stupefacente applauso dopo la sparata contro le elezioni, per una «lectio magistralis» di questo genere?
Pubblicato [su Corriere della Sera] il 15.06.09 18:28

domenica 21 giugno 2009

Una Magnifica Sorpresa

Era visibilmente stanco, con la sua borsa del lavoro ed un sacchetto degli acquisti. Ma era chiara la sua profonda sorpresa, al limite dello sbigottimento. Non appena aperta la porta della sua bella casa, si era ritrovato di fronte a tutti i suoi Amici che erano convenuti per festeggiarlo.
La sorpresa era stata organizzata da sua moglie. Con grande discrezione ed impareggiabile capacità aveva invitato gli amici più cari, preparato un raffinato ricevimento, predisposto ogni dettaglio. Ripresosi dalla sorpresa - assai piacevole -gli era anche passata tutta la stanchezza della lunga giornata e con un dolce sorriso aveva cercato sua moglie per darle un bacio di ringraziamento.
Ma in realtà la sorpres non era ancora finita. Mentre, infatti, sorseggiava il suo prosecco ( convinto sostenitore che gli ottimi Valdobbiadene siano migliori di molti champagne) le luci si sono abbassate e, al ritmo di una musica araba, sono comparse dal nulla due danzatrici del ventre che hanno iniziato una magnifica performance. Impareggiabile questa Donna...
Ormai dal suo viso era sparito ogni segno di stanchezza ed i suoi occhi erano illuminati dal sereno piacere di quella bella festa. Era il suo compleanno che avrebbe dovuto celebrare in un bel ristorante ma in maniera tutto sommato anonima, lontano dal calore dei suoi amici, senza quei piatti vari e prelibati.
In una comoda poltrona era seduta una giovane ragazza che lo guardava felice: era davvero contenta di vederlo sereno. Sembrava perfino aver perso, almeno per quella sera, quella vena di sottile tristezza che sempre attraversa i suoi begli occhi e che lei, che lo conosce bene, sa riconoscere.

domenica 7 giugno 2009

Dietro la Seta… il Mistero

Sono belle queste sete, dai colori armoniosi e con desegni delicati che avvolgono nel morbido lusso proprio della seta. Sono di Jim Thompson, importante casa asiatica di produzione e commercializzazione di prodotti in seta per la persona e per la casa.

Il solido successo di questa Maison risale al dopoguerra, quando un americano di mezz’età – James H.W. Thomson, nato nel Delaware il 21 marzo 1906 - abbandonò la sua precedente vita per trasferirisi in Asia e creare la Jim Thomson Thai Silk Company. Con la sua fortuna e grazie ai suoi studi in architettura (in verità mai terminati) si costruì una casa e mise assieme una collezione d’arte che ancora oggi costituiscono una delle più interessanti attrattive di Bangkok.
Ma un mistero avvolge la fine di Jim Thomson che è svanito nel nulla nella domenica di Pasqua del 1967. Era a Cameron Highlands, esotica stazione turistica nel centro della Malesia nota per le dolci piantagioni di the. E’ stata rilevata la curiosa circostanza che al momento del suo allontanamento Jim Thomson ha lasciato le sigarette ed una piccola "jungle box" sulla sedia giusto fuori il Moonlight Cottage, circostanza che, appunto, lascia supporre che Jim non prevedesse di allontanarsi a lungo.
Supposizioni e teorie, plausibile e ridicole, si sono susseguite. Qualcuno ha voluto perfino vederci una relazione con il suo presunto ruolo di agente della CIA. Forse, più banalmente, Jim ha subito una rapina o un assassinio accidentale o, addirittura, egli è rimasto vittima di una delle trappole per animali che gli Orang Asli, gli aborigeni malesi, ancora in quegli anni, ponevano nella regione e magari chissà ricevendo perfino sepoltura da parte di una tribù locale responsabile dell’incidente.
Il caso di Jim Thomson ha ispirato William Warren che nel 1970 ha scritto “The American Legend” e più recentemente “The Unsolved Mystery”. In America, nel 1986, ”The case of the Silk King” fu alla base della serie per ragazzi “Choose Your own Adventure”.
Anche noi abbiamo misteriosi casi di simili sparizioni, dall’economista Federico Caffè allo scienziato Ettore Maiorana. Ma da noi manca l’esotico fascino dell’Asia...

giovedì 7 maggio 2009

La Scimmia e lo Scimpanzé

Ho avuto la fortuna (perché di questo si tratta) di assistere ad un seminario svolto da uno straordinario professore del Kennedy Institute dell’Università di Harvard, in occasione dell’Assemblea Annuale di un primario Organismo Internazionale alla quale ho avuto l’onore di partecipare, in una meravigliosa isola in Asia.
Il Professore, già Ministro delle Finanze di un importante paese dell’America Latina, ha svolto il suo seminario sul tema della diversità della distribuzione della ricchezza tra i diversi paesi e le ragioni dello sviluppo ineguale, anzi sempre piu ineguale.
Il geniale Professore si è servito, per la sua avvincente illustrazione, di un suo modello basato sulla teoria che io qui chiamo della Scimmia.
Partendo da osservazioni risalenti anche ai classici del pensiero economico, il Professore ha sostenuto che in realtà lo sviluppo (di nuove idee, di nuove ricerche, dell’applicazione dei risultati di tali nuove ricerche, etc,) beneficia della contaminazione che deriva ed è determinata dalla prossimità. In Finlandia, la produzione del legno, che avrebbe potuto portare semplicemente allo sviluppo di una fiorente industria del mobile, è stata alla base di un processo di sviluppo tecnologico (macchine per il taglio e la prima lavorazione del legno sempre più evolute e sofisticate, con tecnologie poi applicabili anche ad altri settori) che è approdato alla Nokia, uno dei giganti non solo della telefonia mobile ma sopratutto della ricerca e dello sviluppo di nuove tecnologie.
Parimenti, quindi, grazie alla prossimità, si assisite allo sviluppo di nuove tecnologie, nuovi prodotti, nuove industrie in luoghi ove già sussiste un humus che, contaminato, fa germogliare tali semi.
Il Professore ha, quindi, suggestivamente sostenuto che il mondo (economico) è equiparabile ad una foresta: tanto più sono vicini i vari alberi (paesi, regioni, industrie) tanto più facilmente la Scimmia (lo sviluppo, la ricerca, le nuove tecnologie) salta da un albero all’altro. Ciò spiega la concentrazione non della ricerca ma della sua applicazione in paesi ed aree già e sempre più sviluppati.
Un signore del pubblico, proveniente da un importante paese in via di sviluppo, ha chiesto all’illustre Professore cosa prevedesse il suo modello qualora nel suo percorso di salti da un albero all’altro la Scimmia sia impedita nel suo approdo ad un determinato albero sul quale si è installato un grande Scimpanzé. Molto più modestamente mi sono domandato quali possano esser i vincoli che taluni aspetti culturali e perfino religiosi possono giocare nello svolgimento del percorso della Scimmia saltellante.
Ho lasciato il seminario inebriato dalla sapienza dell’oratore. Eppure un quesito sin da allora non mi abbandona. La teoria del Professore è assolutamente affascinante e fondata. Tuttavia, ho quasi il timore che il modello sia troppo perfetto ed eccessivamente rigido. E la rigidità di modelli sofisticati e perfetti ha portato alla crisi nella quale il mondo di oggi si dibatte. Forse, talune variabili (di ordine culturale, sociale, etc.) che sfuggono alla perfezione di algoritmi e modelli matematici tanto sofisticati giocano alla fine un ruolo assai più decisivo di quanto lo schema stesso non consideri. La bolla finanziaria, in un mondo perfetto che non aveva bisogno di regole, che sembrava aver abbattuto ogni barriera che potesse ostacolare il proprio spaventoso sviluppo globale……