sabato 13 marzo 2010

Tempo di Elezioni. Oggi come Allora...

Più che la lettura dei giornali, sono i toni perfino eccessivi della dialettica politica che ci indicano l’avvicinarsi delle elezioni.
Va, tuttavia, rilevato, con il dovuto rispetto per i guru delle strategie elettorali e del più sofisticato utilizzo dei media, che le modalità delle candidature e della stessa campagna elettorale non sono mutate in maniera significativa rispetto a duemila anni fa.
Allora i nomi dei candidati venivano riportati sulle ‘tabulae dealbatae’ e presentati al ‘popolo’ nel Foro. Il candidato organizzava i suoi ‘comizi’ (Assemblee che avevano luogo nel ‘Comitium’, un luogo all’aperto consacrato dagli Auguri ed orientato secondo i punti cardinali) ove elencava le proprie virtù, snocciolava promesse, pronunciava esortazioni.
Gli scavi di Pompei ci hanno restituito alcuni ‘manifesti elettorali’ sotto forma di iscrizioni parietali. “Eleggete Lucio Rusticelio Celere che è degno della municipalità" dice uno. “Si invita a votare Bruttio Balbo che conserverà la cassa municipale" dice un altro. Mentre, per la carica di Edile (responsabile dei mercati), un sostenitore prega di “eleggere Giulio Polibio che fa del buon pane".
E nemmeno il “voto di scambio” è un prodotto dei nostri tempi. Tramite sontuosi banchetti, regali, posti a teatro, giochi gladiatori si orchestrava la ‘raccolta delle preferenze’. Le nostre ‘leggi ad personam’ venivano allora denominate leggi ad hoc: Cicerone fece proibire l’organizzazione di giochi gladiatori ad opera di chi intendeva candidarsi nei due anni successivi, mentre la “lex petelia de ambitu” limitava l’eccessivo ‘dinamismo’ dei candidati.
Le spese elettorali erano particolarmente importanti. Cicerone confessa la necessità di disponibilità elevate suggerendo di astenersi dalla competizione a coloro che "facultates non erant". Suo fratello minore, Quinto Tullio, arrivò a redigere il ‘Commentario Petitionis’, vero manuale della perfetta campagna elettorale e, tutto sommato, non troppo distante dal “Viaggio Elettorale” di Francesco De Santis.
Ma l’elemento, forse, più stupefacente è senz’altro legato al sostantivo ‘candidato’ con il quale si identificano i competitori. Presso gli antichi romani il “candidatus” si presentava indossando una toga candida (dal verbo latino candeo che significa biancheggiare, far splendere). Per l'occasione, il bianco sporco della lana veniva trattato con agenti sbiancanti, fino a portarlo ad una tonalità di bianco il più splendente possibile.
Bianco, quindi, quale segno di purezza, di candore annunciato e promesso dal candidato. Allora come oggi ...

1 commento:

Anonimo ha detto...

E' il caso di aggiungere: o tempora, o mores !
Bravo Massimiliano !
Giannni Bredice