venerdì 30 settembre 2011

Un Nobile

Andrew Jackson, il settimo presidente degli Stati Uniti, era un uomo particolarmente perseverante, testardo. Talmente testardo che i suoi avversari repubblicani, nel corso della campagna elettorale del 1828 che lo porterà alla Casa Bianca, lo sminuivano e, irridendolo, lo presentavano come un asinello. Risale proprio a questi episodi l’adozione dell’Asinello a mascotte, a simbolo (non ufficiale, in verità) del Partito Democratico degli Stati Uniti.
L'Asinello è la mascotte del Partito Democratico
Quantunque eclatante, questo non è che uno dei molteplici esempi in cui l’Asino viene usato per insultare. In molte lingue dare dell’asino è una offesa, anche seria, e ancor oggi le ‘orecchie d’asino’ sono irrisioni efficaci. Claudio Bisio ha perfino recitato in “Asini”, un film in cui ragazzi eccessivamente buoni non riescono a star al passo col tumultuoso divenire della società.
E, invece, pur così denigrato, l’Asino è un animale antico e nobile. Le prime notizie (positive!) risalgono a settemila anni fa, presso le civiltà della Mesopotamia. Dal suo nome semitico (Athon) derivano gli appellativi che ritroviamo in innumerevoli lingue mediterranee ed europee: dal greco ònos al latino asinus, dal tedesco asni all’inglese ass, allo slavo osilu, al francese âne, all’arabo hmar. .
Di natura forte e robusta, ma sobrio e frugale, l’Asino è innanzitutto paziente. Talmente paziente da aver consentito all’uomo, nel corso dei secoli, di trattarlo con una rudezza che non si riscontra in nessuna altra relazione dell’uomo verso animali addomesticati. E ciò nonostante l’Asino abbia collaborato allo sviluppo dell’Uomo.
L'asino domestico svolgeva le stesse mansioni del cavallo, pur rimanendo meno costoso accontentandosi di poco, e per tale ragione i contadini più poveri lo preferivano al cavallo, da cui la denominazione di “cavallo del povero”. Ma l’Asino è stato anche un importante mezzo di trasporto sulle strade di montagne e si rivelerà fondamentale in molte battaglie della Prima Guerra Mondiale.
Un esemplare di Asino Ragusano
L’Asino ha perfino recitato un ruolo rilevante nel Vangelo di Gesù: presiede alla Sua nascita, assumendo addirittura l’onere di scaldarlo nella mangiatoia di Betlemme, e sarà proprio cavalcando un puledro d'asina che Gesù entrerà trionfante in Gerusalemme, mentre una grande folla lo osannava. La stessa folla che qualche giorno dopo lo condannerà alla crocifissione, preferendogli Barabba.
E, ancora, l’Asino ci offre il suo latte. Certamente a fini cosmetici (come non ricordare i bagni in latte d’asina di Cleopatra!) ma soprattutto per l’alimentazione, essendo il suo latte il più simile a quello della femmina dell’uomo. Ippocrate lo raccomandava per ogni tipo di problema (avvelenamenti, intossicazioni, dolori articolari, cicatrizzazione delle piaghe) mentre Georges-Louis Leclerc, il conte de Buffon, naturalista e biologo della Francia del ‘700, lo segnala nella sua Storia Naturale. Ai suoi tempi vennero impiantate a Parigi numerose “stalle asinine”, dove le signore eleganti si recavano per ottenere la preziosa bevanda.
Senza scomodare l’Asino d’oro di Lucio Apuleio o la Bibbia con l’Asinella parlante del mago Balaam, si può ricordare l’Asino Lucignolo, il compagno d’avventure di Pinocchio nel paese dei balocchi.
Insomma, proprio un genuino e Nobile Amico dell’Uomo ora ritiratosi in disparte, in questa nostra epoca eccessivamente rude e sbrigativa, perfino per un essere forte e robusto, ma pur sempre sobrio e frugale!


sabato 6 agosto 2011

Altolà: un antico Charlie Check-Point

Nella Berlino di oggi è certamente tra i luoghi cult più visitati e fotografati. Finti soldati americani e sovietici, per qualche euro, acconsentono a farsi riprendere in compagnia di turisti per testimoniare – seppure in maniera burlesca – il superamento delle tensioni degli anni della guerra fredda. Tale “punto di confine” fa volare la mente agli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo e ai mitici scambi di spie (almeno tre) tra i sovietici e gli occidentali, pur se, in verità, tali scambi avvenivano non a Charlie Check-Point ma al Ponte di Glienicker, nei pressi di Potsdam. Celeberrimo quello avvenuto il 10 febbraio 1962 tra Francis Gary Powers, il pilota dell’U-2 abbattuto nei cieli sovietici durante un ‘routinario’ volo di “raccolta di informazioni”, ed il colonnello del KGB Rudolf Ivanovich Abel, nota spia sovietica.
Charlie Check-Point di Berlino: oggi un'attrazione turistica
Tali ‘pratiche’ furono anche celebrate nel 1966 in “Funerale a Berlino”, un pregevole film inglese di spionaggio con Michael Caine.
Nel passato, tuttavia, anche noi abbiamo avuto il nostro Charlie Check-Point: era sul fiume Panaro, in Emilia, ove per secoli è corso il confine tra lo stato pontificio e il ducato degli Estensi. Si chiama Altolà.
Oggi Altolà è una piccola frazione del comune di San Cesario sul Panaro, in provincia di Modena, proprio a ridosso del ponte sull’affluente del Po. Poco distante sorge un caseggiato sul quale ancora oggi troneggia la scritta “Guardone”, che ci piace credere esser esclusivamente la sede del corpo di guardia. Dal lato dello stato pontificio, invece, il primo centro che si incontra è California, anzi la California, come si dice da quelle parti, in maniera evidentemente più rispettosa dell’etimologia latina “calida forma”, zona calda,  rinomata per la produzione di talune varietà di frutta di eccellente qualità.
La storia non ci ha tramandato epici scambi di spie, e neppure di umili prigionieri, avvenuti ad Altolà. La letteratura, invece, ci racconta attraverso la penna di Alessandro Tassoni della “Secchia rapita”, il furto di una secchia da pozzo rapita dai modenesi durante un conflitto con i bolognesi.
Al contrario, resta tutt’oggi assai vivace la rivalità tra le donne di Altolà e quelle della California, quindi tra le discendenti del ducato degli Estensi e quelle dello stato pontificio. Non è chiaro se tale conflitto secolare risalga alla Secchia rapita di Tassoniana memoria, ovvero alla contesa per qualche milite in servizio nel caseggiato detto “Guardone”.

domenica 24 luglio 2011

Un’Emozione

Appartengo a una generazione per la quale la “Sinfonia dal Nuovo Mondo” è una mirabile composizione di Dvorak e l’orchestra sinfonica è la Filarmonica di Berlino diretta da von Karajan.
Dovevo ancora imbattermi in Tsung Yeh e, soprattutto, in Zhang Haochen!
Mi era stato insegnato che il primo violino accoglieva e rappresentava l’Orchestra di fronte al Maestro e mai avrei pensato di assistere alla stretta di mano tra il Direttore d’Orchestra – il Grande Maestro Tsung Yeh – e il “primo Gaohu”, maestro Li Bao Shun.
Risale al 1104 la prima notizia sul Gaohu
Il concetto stesso di orchestra, nella cultura musicale asiatica è piuttosto recente, al massimo può andar indietro di cento anni. In precedenza erano ‘ensemble’ di pochi musicisti che suonavano, facendo vibrare corde di seta il cui suono veniva poi amplificato in casse di bambù, e più raramente di legno. E da mille anni gli strumenti sono il Gaohu, l’Erhu, lo Zhonghu, il Liuqin, lo Zhongruan: strumenti impossibili da suonare “senza che il cuore e la stessa mente siano aperti”.
Oggi si è affermato anche in Asia il concetto di orchestra, ma con strumenti della tradizionane orientale e con composizioni che devono esser scritte per tali strumenti, oppure esser arrangiate e adattate alla musica di tali strumenti a due o tre corde (nel passato di seta, oggi metalliche o miste) che si caratterizzano per una diversa lunghezza del manico, ma soprattutto per la diversa grandezza della cassa, spesso in bambù.
Eric Watson, un compositore britannico trapiantato a Singapore, ha creato proprio per tali strumenti una “Terra sotto il vento”, sensibilissima rappresentazione, al cuore prima ancora che alle orecchie, delle emozioni e dei suoni che possono suscitare l’atmosfera di Sabah e la vista del Monte Kinabalu (nel Borneo malesiano). Tali strumenti, cosi apparentemente lontani dai nostri, riescono a riprodurre i suoni, le emozioni, le sensazioni, le atmosfere che Joseph Conrad e W. Somerset Maugham hanno saputo descrivere nei loro libri ma che ora è possibile rivivere nella drammaticità maestosa della celebre Rapsodia del Fiume Giallo (colonna sonora di tanti film con ambientazione asiatica) nella sapiente interpretazione del Maestro Tsung Yeh e delle magiche affusolatissime mani del pianista Zhang Haochen.
Zhang Haochen
Zang Haochen ha solo 21 anni, ma è già un grandissimo del pianoforte. È straordinaria l’emozione che è capace di trasmettere attraverso le sue interpretazioni sia di melodie asiatiche sia di composizioni europee. La grandezza di quest’Artista stride terribilmente con il suo atteggiamento, quasi impacciato: un grande e già maturo talento si è incarnato in un corpo ancora troppo giovane.
Certamente grato per l’opportunità unica di aver potuto vivere direttamente un’emozione nuova e profonda, tuttavia il “vecchio Europeo” appena rincasato è tornato a Bach e Vivaldi, Beethoven e Wagner.

 
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domenica 17 luglio 2011

Da Aux Villes d'Italie alla Central Retail Corporation

Il 1917 fu un anno davvero difficile, il quarto della ‘Grande Guerra’. Certo Ungaretti compose “Mattina”, una tra le sue più celebri poesie, e la Madonna fece la prima apparizione a Fatima. Ma fu anche l’anno di Caporetto e della Rivoluzione russa.
In quello stesso anno, i fratelli Romualdo e Senatore Borletti rilevarono un grande magazzino di Milano, Aux Villes d’Italie, evoluzione di successo del piccolo negozio creato da Ferdinando Bocconi nel 1865 in via Radegonda, che proponeva solo abbigliamento pronto moda.
Ferdinando Bocconi
I Fratelli Borletti erano abbastanza vicini a Gabriele D’Annunzio e, infatti, saranno tra i principali finanziatori della ”Impresa di Fiume”. Essi collezionavano manoscritti del Vate, sebbene spesso a loro insaputa ‘apocrifi’ giacché il Poeta, sempre attento al lucro, faceva redigere copie dei suoi manoscritti al figlio Gabriellino che aveva imparato alla perfezione la calligrafia barocca del padre. I Borletti affidarono proprio a D’Annunzio la creazione del nome da attribuire alla loro nuova attività, un nome che potesse rappresentare immediatamente l’idea del rilancio dell’azienda e che rievocasse anche le speranze di una nuova Italia.

Il Vate, per poche migliaia di lire (dell’epoca), diede fondo a tutte le sue risorse creative e generò il nome “La Rinascente”, accompagnato dal motto “L'Italia nova impressa in ogni foggia”.
Peraltro, a tale nuovo nome fu associato un ulteriore significato dopo il dramma della notte di Natale 1918, il primo di pace, quando un corto circuito mandò a fuoco il Grande Magazzino appena rinnovato, obbligando i Borletti ad una nuova ‘rinascita’.
Un Poster realizzato da Marcello Dudovich
Con gli anni La Rinascente divenne un’azienda di grande successo e prestigio che, sospinta dalle campagne pubblicitarie di Marcello Dudovich, velocemente estese la sua presenza anche in altre città italiane. Nel 1928, inoltre, fu introdotto l’Upim, un magazzino a prezzo fisso, con prodotti che andavano da una a quattro lire, proprio per coprire anche un segmento di mercato meno sofisticato. Bisognerà, invece, attendere gli anni ’60 perché la diversificazione tocchi anche i generi alimentari, con l’apertura dei Supermercati Sma.
Il Gruppo La Rinascente era diventato non solo l’ammiraglia della grande distribuzione in Italia, ma costituiva anche un ricco asset, tale da interessare, con fasi altalenanti in verità, la famiglia Agnelli. Negli ultimi trent’anni la proprietà del Gruppo è passata varie volte di mano, senza mai perdere però l’appetibilità che deriva dalla sua storia di successo, dal suo nome, dalla sua articolazione.
Ecco, quindi, le ragioni dell’acquisto della Rinascente da parte della tailandese Central Retail Corporation: il gruppo – colosso particolarmente attivo nella grande distribuzione, nell’ospitalità e nell’immobiliare, con ricavi nel 2010 per 3,5 miliardi di dollari – per 260 milioni di euro (il prezzo fissato per l’acquisto) sarà in grado di avvalersi anche della Rinascente e del “made in Italy” per realizzare la propria strategia di espansione in Asia.
Sembra, peraltro, ripetersi la storia di Ferdinando Bocconi: la Central Retail Corporation data l’inizio della sua attività al 1947, quando il fondatore Tiang Chirativat aprì un negozio nel quartiere cinese di Bangkok.

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sabato 9 luglio 2011

In Memoria ?

Chi può dire se ottantacinque anni sono pochi, o molti, per morire? E poi, chi può stabilire una causa giusta per una morte?
Ha mancato l’ottantacinquesimo compleanno per soli tre giorni: infatti, era nato il 9 luglio 1926 e ha rappresentato subito una sfida imponente e prestigiosa. Alberto, suo padre, voleva che il neonato contribuisse alla crescita ma, soprattutto, desiderava che fosse innovativo, che riuscisse ad imprimere una svolta sostanziale e strutturale al modo di essere e costruire un futuro radioso, anche fuori casa.
Alberto Pirelli

Sin da giovane gli furono attribuiti incarichi importanti e totalmente nuovi, soprattutto per quei tempi. Capace di coniugare la qualità (decenni prima che il tema divenisse patrimonio condiviso) con la ricerca del nuovo, così da superare le impellenti necessità dettate dall’autarchia.
Ma fu il dopoguerra ad imprimergli il fantastico slancio che lo proiettò sulla scena internazionale sulla quale diventò di casa, in paesi e scenari radicalmente nuovi, riuscendo sempre a vincere le sfide dei tempi e in ciascun teatro.
E poi capì e seppe interpretare magicamente, e ben prima di tutti gli altri, le caratteristiche del mondo che cambiava. In quegli anni ‘miracolosi’, grazie a guide illuminate e compagni di viaggio straordinari, trovava la ricetta giusta per ogni situazione e per ogni nuova sfida. Quando lo scenario si fece veramente difficile, s’inventò la pazza idea che sfoggiare il lusso potesse pagare gli acquisti del necessario. Era ammirato e rispettato per la sua autorevolezza!
Poi il mondo cominciò a mutare ancora e una nuova classe - rozza e sbrigativa, in verità – si affacciò sulla scena, portando ‘valori’ nuovi, ruvidi. Lui rimase sempre più solo, altero nella sicurezza che gli derivava dalla sua visione strategica e lungimirante, forte di conoscenza e professionalità che, tuttavia, poco interessavano ai profeti di un “pragmatismo” eccessivo ed anche effimero, maestri di parole belle ma totalmente vuote.
La morte lo ha colto al culmine della solitudine: non era strumentale per i nuovi portatori di interessi invero bassi ed anche volgari, purtroppo gravemente dannosi per tutti. Restano, tuttavia, profonde ed indelebili i suoi saperi e i suoi strumenti, germogli certi per una nuova primavera che, forse non imminente, sarà ineluttabile e necessaria.

P.S. Alberto Pirelli, il 9 luglio 1926, fu il primo Presidente dell’Istituto Nazionale Esportazioni INE con la missione di declinare l’esperienza dell’imprenditore a favore del più vasto interesse generale. Dopo la seconda guerra mondiale, l’INE, divenuto Istituto Commercio Estero ICE, si proiettò su tutti i mercati mondiali, nei cinque continenti. Dopo la sede di Amburgo (1930), vennero Londra (1936), Johannesburg (1955), Singapore (1959), Pechino (1965), Lagos (1967) e via via fino ai 115 uffici nel mondo del 2011.

Fondamentale strumento della politica commerciale all’estero, l’ICE attraverso Uomini straordinari ed illuminati professionisti (Gronghi, Vanoni, Merzagora, Massacesi, per non citare che pochi dei suoi presidenti) contribuì grandemente allo sviluppo di positive relazioni commerciali con i nuovi attori che uscivano dalla decolonizzazione e con gli stessi paesi del blocco comunista. L’Ufficio ICE nella Pechino di Mao fu aperto molti anni prima dell’Ambasciata d’Italia e, negli stessi anni, sofisticate tecniche di marketing accompagnavano nei mercati più avanzati dell’Occidente, ma anche dell’Asia, le nostre aziende del lusso (moda, pelletteria, calzature, mobile, gioielleria, etc.), unitamente alle imprese dell’eccellenza meccanica, consentendo così di far fronte alla sempre più esosa bolletta energetica.
Negli anni più recenti, invece di far ricorso ai saperi che derivavano dall’autorevolezza goduta sui mercati internazionali grazie a professionalità e best practices da eccellenza che invitavano a scelte coraggiose e di maggior respiro, l’ICE veniva sempre più soffocato, perché non “strumentale” nel grigio dilagare del rozzo pragmatismo odierno.
Restano, tuttavia, forti e solidi i germogli dei saperi cui, in un futuro forse nemmeno eccessivamente lontano, occorrerà rivolgersi per rendere un servizio vero e reale ad un sistema paese troppo fragile di fronte al mondo pervaso dalla globalizzazione.

martedì 5 luglio 2011

Una Professione molto Difficile

Winston Churchill e Joseph Stalin
Henry Kissinger, il Segretario di Stato dell’America di Nixon, nelle sue Memorie su “Gli Anni della Casa Bianca” si sofferma sulla difficoltà incontrata dal suo  interprete a tradurre o meglio a rendere il concetto espresso da Andrei Gromyko, il potente Ministro degli Esteri dell’Unione Sovietica negli anni della politica della “Distensione”, quando affermava: ”non è impossibile non pensare che ...”.

Hillary Rodham Clinton con Silvio Berlusconi
Viene così alla mente il caso di quell’interprete che Joseph Stalin, il Primo Ministro sovietico durante e dopo la seconda guerra mondiale, fece ammazzare il giorno successivo all’importante incontro avuto con Churchill: Stalin semplicemente non voleva correre il rischio che si sapesse quanto da lui discusso e convenuto con Churchill (il cosiddetto “accordo delle percentuali” sull’influenza che le potenze vincitrici avrebbero esercitato sui diversi paesi liberati).
Molto più recentemente, le difficoltà e la necessaria discrezione proprie del lavoro di traduttore-interprete sono state rinverdite dalla vicenda del ventiduenne Renzo Bossi, detto da suo padre “il Trota”, Consigliere regionale della Lombardia. Questi avrebbe assistito - proprio quale interprete - il Presidente Berlusconi nell’incontro col Segretario di Stato americano Hillary Rodham Clinton (laureatasi in Legge all’Università di Yale). Ce lo ha fatto sapere - in verità solo per render pubblica una posizione di Berlusconi sulla guerra in Afganistan espressa proprio durante tale incontro - il padre del giovane interprete, il Ministro della Repubblica Senatore Umberto Bossi, che ha reso noto: "in quell'occasione c'era mio figlio Renzo a fare da traduttore, perché lui parla bene l'inglese, studia a Londra".
Il segno dell’evoluzione dei tempi ...


 

sabato 25 giugno 2011

In Principio era il Bestiame

 Tito Livio, il grande storico romano, ci ha tramandato la vicenda del primo sacco di Roma. Il 18 luglio del 390 a.C., nei pressi del fiume Allia, i Romani furono sconfitti dai Galli di Brenno che, quindi, poterono agevolmente entrare e saccheggiare Roma. Solo il Campidoglio resistette, anche al successivo assedio durato qualche mese.
Proprio durante l'assedio, un attacco notturno dei galli fu sventato grazie allo starnazzare delle oche del Campidoglio che in tal modo lanciarono l’allarme e richiamarono i soldati. Tali oche erano tenute nel sacro recinto del tempio di Giunone e per gratitudine alla dea protettrice, nel 353 prese avvio la costruzione del tempio a Giunone Moneta (cioè Giunone l’ammonitrice, Giunone che mette in guardia) ove, peraltro, ebbe anche sede la prima zecca, “officina moneta”, proprio dal nome del tempio. Ecco perché oggi noi chiamiamo il denaro moneta, gli inglesi money, i francesi monnaie.

Le grandi civiltà dell’antichità preromana non avevano ancora inventato il denaro che sarà introdotto, verso l’ottavo secolo a.C., da mercanti greci sotto forma di lingotti in metallo marchiati dalla “casa” emittente, a garanzia del peso e quindi del valore. I commerci avvenivano essenzialmente attraverso il baratto, lo scambio di merce contro merce. Uno dei beni più di frequente scambiato era il bestiame che, nell’intero Mediterraneo, divenne la merce di riferimento per ogni baratto. Deriva da ciò il termine “capitale” - e quindi capitalismo – essendo ‘capita’ il plurale di capus, cioè capo (di bestiame). Ed anche pecunia, denaro, deriva da pecus, bestiame.
La prima moneta romana fu di bronzo, ma Plinio il Vecchio ci informa che già nel 269 a.C. veniva coniato il “denario” in argento con i suoi sottomultipli quinario e sesterzio. Ben presto, inoltre, le divinità che in origine venivano rappresentate sul dritto delle varie monete per glorificare i protettori dell’Urbe, cominciarono ad esser sostituite da avvenimenti bellici o religiosi, quando non direttamente da effigi di personalità della famiglia dei magistrati che firmavano la moneta. Era nata una nuova e più efficace forma di propaganda!

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