domenica 23 gennaio 2011

Sandokan È Tornato


Coloro che ritenevano la pirateria un fenomeno superato o, più che altro, un frutto della fantasia di scrittori creativi devono ricredersi: nel 2010 ben 53 navi sono state sequestrate e addirittura 1.181 sono stati i marinai catturati. Le zone più pericolose restano le acque al largo della Somalia e il canale del Mozambico. Ma sono gli Stretti dell’Indonesia a detenere il primato delle rapine a mano armata: nel solo anno appena concluso, sono state trenta le navi abbordate, nove gli attentati sventati, mentre un vascello è stato dirottato.
Insomma, siamo al ritorno di Sandokan!
E giustamente! Cade, infatti, quest’anno il centenario della scomparsa di Emilio Salgari che - “seguendo il rituale malese”, come scrissero i cronisti dell’epoca - si diede la morte il 25 aprile 1911.
Il prolifico e fantasioso scrittore era nato a Verona il 21 agosto del 1862 da una famiglia di piccoli commercianti. Seguì i corsi del Regio Istituto Tecnico e Nautico "P.Sarpi" di Venezia, senza però mai completare gli studi.
Emilio Salgari amava raccontare di aver provato “emozioni non comuni e non comprensibili per chi sta comodamente seduto a casa sua. Dopo aver navigato sulla topaia chiamata Italia Una, ho viaggiato molto, arrivando fino allo stretto di Bering. Ho visto il mondo fumando una montagna di tabacco. In un viaggio stetti sei mesi in navigazione, con una sola fermata a Ceylon, perché crivellato dai rosicanti”.

In realtà, l’esperienza marinara di Salgari si limita a poche settimane nell’Adriatico, a bordo della “Italia Una”, di cui egli era solo un passeggero, forse neppure troppo gradito.
Gli psichiatri gli hanno diagnosticato una mitomania sfociata nella paranoia: si immedesimava a tal punto nelle sue opere da raccontare al suo medico di aver contratto le febbri in India, oppure da raccomandare ai propri figli, nelle passeggiate sulla collina torinese, di accertarsi che dietro ai cespugli non ci fossero tigri nascoste. Straordinaria, poi, la sua firma nelle lettere alla fidanzata: “il tuo selvaggio malese”.
Questo “impavido scorritore di tutti gli oceani” (G. Arpino) era in realtà un attento lettore di testimonianze di viaggi autentici ed uno straordinario studioso di carte geografiche. Sandakan è il nome di una città dell’estremo oriente del Borneo malesiano, mentre Labuan è un’isola (oggi centro finanziario off-shore) al largo della medesima regione. Resta il dubbio su Montpracen, il covo dei Tigrotti di Sandokan. Ma le carte geografiche di fine ‘800 riportavano questo isolotto sulla costa orientale di Sabah (poi sparito, travolto dalla forza dell’Oceano oppure per una più scientifica elaborazione delle carte): anche questa circostanza conferma il metodico studio del prolifico scrittore.
Stroncato dalla malattia della moglie ed in perenne disagio economico, Emilio Salgari si toglie la vita il 25 aprile 1911. Tra le altre, indirizzerà una lettera ai suoi editori: “a voi che vi siete arricchiti con la mia pelle mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche più, chiedo solo che, per compenso dei guadagni che io vi ho dato, pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna".



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domenica 9 gennaio 2011

Capodanno Esotico ?


Marrakech è senza dubbio tra le destinazioni mondiali più sofisticate ed esotiche.
Certamente alla sua fama contribuisce la storia millenaria di questa antica capitale imperiale che, ancora oggi, plasma ogni aspetto della vita della città. Ecco la Koutubia, perfetta gemella della torre campanaria della cattedrale di Siviglia, memoria del tempo in cui ambedue le città erano parte del medesimo impero, culturale e religioso, prima ancora che politico. E poi il Palazzo di Bahia, eccellente esempio di un’architettura ricca, geometricamente perfetta, ma anche rappresentativa della vita quotidiana del Signore del luogo. E poi le Tombe Saadite, di una bella ricchezza barocca, che dimostrano, attraverso la rispettosa vicinanza delle tombe musulmane, ebraiche e cristiane, come il passato sia stato assai più integrato e tollerante della nostra “civilissima” epoca.

E poi Marrakech è la cucina – orgogliosamente mediterranea – forse il miglior esempio di integrazione di gusti, di sapori, di colori.

Ma Marrakech è soprattutto l’atmosfera che si respira: è la piazza Jamaal el Fna (quella del film di Hitchcock “L’uomo che sapeva troppo”) con la sua variegata animatissima umanità: dall’incantatore di serpenti al cantastorie, al venditore di improbabili denti, fino alla miriade di cibi e bevande tra i più eccessivamente “naturali”. È il misterioso schiudersi, dietro portoni quasi anonimi, di sontuosi giardini allietati dalla musica di fontane, corti ove troneggia la perfezione di decorazioni geometriche e floreali.

E poi Marrakech è l’oziare in piscina, baciati dal caldo sole predesertico, ammirando la neve sui vicini monti dell’Atlas. È la magia del suk, intricatissima rete di migliaia di viuzze e passaggi segreti, ove la negoziazione del prezzo è un obbligo e dove gli antichi saperi sopravvivono ai valori della modernità. È il verde rigoglioso degli ulivi e delle palme che sposa perfettamente il caldo rosso mattone di ogni costruzione. È il “bel mondo” internazionale che vi si dà convegno per apprezzare e accrescere la raffinata sofisticatezza di un lusso caldo e sensuale.

Insomma, Marrakech è il luogo migliore ove salutare il vecchio anno che se ne va via e il Nuovo Anno che tutti ci auguriamo sereno, ricco di belle sorprese, foriero di realizzazioni importanti.

Auguri!!!

giovedì 6 gennaio 2011

Salutando il 2010


 Per Promuovere l'Italia....


 Con il Campione del Mondo Andrea Baldini: l'orgoglio di esser Italiano


La serenita' del Lago... 


Argos Hippium: un riconoscimento prestigioso 


Foto di Gruppo! 


 Melvin Jones Fellowship: il valore del Servizio 


 In visita alla Tomba di Cicerone


 I colori dell'Autunno a Boston


Bianco Natale...


venerdì 17 dicembre 2010

La Vera Verità e Tre Evidenti Falsità

Caro Mass,
permetti che anche io possa esprimermi sul momento di pathos vero che attraversa la vita pubblica italiana.
Tutti i maggiori osservatori sono concentrati nell’esame minuzioso del significato e delle conseguenze del voto parlamentare di martedì scorso. Lucidissimi e profondi i commenti di Ferrara, di Travaglio, di Feltri, di Romano. Etc. Stupisce, tuttavia, che pochi hanno rilevato i soli tre veramente grandi significati del voto alla Camera del 14 dicembre.
1. Si dice che in Italia non facciamo più figli. Falso! Le deputate sono 133 (su 630). Di queste ben tre si sono recate (perfino in carrozzella) a votare la fiducia/sfiducia in avanzatissimo stato di gravidanza. Senza
 considerare eventuali ulteriori gravidanze meno avanzate e non rese pubbliche, la Camera si rivela nicchia di eccellenza, per lo meno in tema di tasso di natalità.
2. Si dice che l’Italia non valorizzi le proprie tradizioni e le sue radici. Falso! Nell’era del trionfo dell’elettronica l’Italia, meglio il Parlamento o la politica, resta saldamente ancorata al pallottoliere, anzi all’abaco.
3. Si dice che l’Italia, anzi Roma e la funzione pubblica incarnata da Roma, sia la quintessenza dell’Assenteismo. Falso! Alla Camera, al voto del 14 dicembre, si sono presentati ben 628 deputati su 630. Percentuali bulgare, si sarebbe detto in altri tempi.
E ciò mentre Berta filava, come cantava Rino Gaetano, in evidente antitesi a Orietta Berti (fin che la barca va …)
Tuo
Gustavo


Nell'immagine: "La Lotteria in Piazza di Montecitorio", dipinto di G. P. Panini  (1691-1765) ora alla National Gallery di Londra
 
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domenica 5 dicembre 2010

La Dritta

“Fate luogo voi, la diritta è mia” fa dire Alessandro Manzoni al futuro Fra Cristoforo, nel capitolo IV de I Promessi Sposi. Ambedue, racconta Manzoni, camminavano rasente al muro, tuttavia Fra Cristoforo lo strisciava col lato destro che, secondo una consuetudine allora in voga, gli dava il diritto di non staccarsi dal muro. L’altro pretendeva invece l’opposto: che il ‘diritto alla dritta’ spettasse a lui in quanto nobile.
Ma quale è la “dritta” e perché in molti paesi si guida a destra ed in altri a sinistra?
In epoca medioevale era consuetudine viaggiare sulla sinistra per essere in posizione vantaggiosa per l’eventuale (e frequente) uso della spada. In tal maniera si limitava anche la possibilità che il fodero, indossato sulla sinistra, colpisse le persone che camminavano in senso opposto. Inoltre, la spada posta sul lato sinistro del corpo rendeva più agevole salire a cavallo.
Si fa, tuttavia, risalire a papa Bonifacio VIII (quello del Giubileo del 1300) la prima formalizzazione dell'obbligo di viaggiare sul lato sinistro della strada.
Successivamente, nel 1773, gli inglesi introdussero un “codice della strada” che confermava il lato sinistro come quello sul quale procedere. Nel frattempo, tuttavia, si avventò sull’Europa il “Tornado Napoleonico” e, nel 1794, a Parigi fu emanata una legge che imponeva di procedere sulla destra.
Tale norma certamente rispondeva alla “esigenza” napoleonica di andar contro gli inglesi in qualunque maniera, ma in realtà essa accoglieva anche una pratica già molto diffusa in Francia e negli “alleati” Stati Uniti: il trasporto di grandi quantitativi di prodotti agricoli in giganteschi vagoni trainati da numerosi cavalli. Questi convogli non prevedevano un sedile per il conducente che, infatti, sedeva sull’ultimo cavallo a sinistra, posizione che gli consentiva di frustare i cavalli col braccio destro e controllare che le ruote dei carri provenienti dal lato opposto (che quindi passavano sulla sinistra) non si toccassero con quelle del proprio convoglio.
Napoleone conquistò gran parte dell’Europa continentale ove, quindi, fu adottata tale norma. La pratica della guida a sinistra continua invece ancora oggi in Inghilterra ed in tutti i paesi colonizzati o, comunque, sottoposti all’influenza inglese, salvo che in Scandinavia ove, nel 1967, si optò per la guida a destra.

sabato 27 novembre 2010

Privacy Vs Condivisione

Probabilmente il più giovane miliardario al mondo, il ventiseienne Mark Zuckerberg è soprattutto conosciuto per aver creato Facebook. Il suo social network ha saputo intercettare e dare una risposta al bisogno primario di relazione e di condivisione, proprio dell’uomo.
Facebook, tuttavia, rappresenta anche l’essenza stessa di internet: la connessione tra persone, ovunque esse siano, anche con la possibile fruizione di servizi ‘nuovi’ che, in realtà lo stanno trasformando in qualcosa di ancora più ricco e sofisticato.
A differenza, ad esempio, della televisione – unidirezionale – il web consente una forma di partecipazione assolutamente nuova: permette di entrare in contatto con chiunque, di partecipare a discussioni su platee sempre più ampie, di interloquire in maniera diretta assolutamente con chicchessia, come dimostrano la possibilità di inviare una e-mail direttamente anche al presidente degli Stati Uniti, oppure i successi in termini di “amicizia” perfino della Regina Elisabetta.
E ciò non è che l’inizio, considerati i cambiamenti ulteriori che saranno introdotti da internet, che diventerà una esperienza sempre più personale, con la tendenza a costruire progetti – e prodotti - attorno ai desideri ed alle necessità della gente.
Tale evoluzione, di per sé assolutamente positiva, comporta tuttavia cambiamenti dai molteplici aspetti: il concetto stesso di privacy evolve profondamente. Nel passato nessuno desiderava che i propri dati fossero pubblici, oggi è impressionante il numero di persone che rende disponibile il numero del proprio cellulare su Facebook. Per la mia generazione la privacy era (ed è tuttora) un valore: per i più giovani fruitori di Facebook condividere sembra esser il “nuovo” valore. Certamente ciascuno può decidere liberamente cosa fare dei propri dati, nei fatti si è in un ingranaggio di “condivisione” sempre più interattivo e personalizzato.
Forse dovremo esser pronti ad accettare una “invadenza” sempre più accentuata, frutto di un mondo altamente tecnologico, con media sempre più raffinati e vicini. Potremo accedervi da ogni terminale (computer, tablet, smartphone, televisori digitali, console per giochi, etc.) al quale cederemo, però, una elevata possibilità di entrare anche profondamente nella nostra sfera (ex) privata.

 

domenica 14 novembre 2010

Quod Non Fecerunt Barbari…

Maffeo Barberini, divenuto Papa Urbano VIII, commissionò a Gian Lorenzo Bernini (che per l’occasione godette della collaborazione di numerosi artisti, tra cui il suo ‘rivale’ Francesco Borromini) il Baldacchino di San Pietro, imponente monumento barocco, ideato per segnare il luogo del sepolcro di San Pietro.
Per la realizzazione dell’opera furono necessari dieci anni (1623 – 1633) e, soprattutto, si dovette ricorrere ad una nuova spoliazione del Pantheon, dal quale furono asportati e fusi gli antichi bronzi di sculture poste sul frontone ed elementi di copertura del pronao.
Giulio Mancini, medico di Urbano VIII, commentò la scellerata decisione con la celebre “quod non fecerunt Barbari, fecerunt Barberini”, volendo con ciò porre l’accento sulla smisurata ambizione della famiglia del pontefice che, pur di autocelebrarsi con monumenti spettacolari, non si fermava neppure di fronte al danneggiamento di uno dei monumenti più importanti dell’Urbe.
Tuttavia, la magnifica opera di Bernini – monumento che fonde scultura ed architettura con l’allegorica rappresentazione di colonne tortili (come nel Tempio di Salomone), del ciborio della preesistente basilica di San Pietro, delle fasi del parto attraverso espressioni diverse di un volto femminile, la passione per la poesia di Papa Urbano mediante tralci di lauro, l’omaggio al casato del papa con la rappresentazione delle api, presenti nello stemma dei Barberini - certamente non giustifica, ma almeno nobilita la spoliazione del monumento dell’imperatore Adriano.
Diversa è, invece, la “spoliazione” alla quale assistiamo oggi, frutto di incuria, più che del desiderio di smodata autocelebrazione. Ci si è, purtroppo, abituati ai crolli della Domus Aurea o di pezzi anche importanti di Mura Aureliane (che hanno sopportato per diciassette secoli quasi ogni assalto barbaro) ma dovevamo ancora assistere al crollo di un monumento che aveva resistito perfino alla forza della natura, all’eruzione del Vesuvio dell’estate 79 d.C.
Ecco, allora, il crollo, per incuria, della “Schola Armaturarum Juventis Pompeiani”, comunemente conosciuta come la Casa dei Gladiatori.
Il monumento si trovava nel corso principale dell’antica Pompei, la via dell’Abbondanza (beffa del fato!), e in origine ospitava gli armadi lignei dove venivano conservate le armi dei gladiatori. Al suo interno la “juventus pompeiana” si allenava alla lotta.
Le mura esterne erano decorate con gli affreschi dei gladiatori, mentre all’ingresso si potevano ammirare due pilastri istoriati con trofei, in ricordo di Augusto: quello di sinistra con armi accatastate ai piedi di un tronco e, in basso, una tunica decorata con tritoni e grifi alati. Sopra, un elmo e ai lati alcune lance. In alto, una tunica rossa. Sul pilastro di destra scudi e lance circondavano un carro ricoperto da una pelliccia di orso bianco.
Quod non fecerunt Barbari….

 
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