sabato 20 ottobre 2012

Europa


Sebbene scoperta da Galileo, non si tratta di Europa, il satellite di Giove. E neppure di Europa, mamma di Minosse (il re di Creta), quella rapita dal dio Giove (un toro, per l’occasione) che generò per l’appunto Minosse, Radamanto e Sarpedonte.
L’Europa cui è stato attribuito il Premio Nobel 2012 per la Pace siamo noi: l’Europa dei nostri giorni, la creazione che ci ha donato pace (il più lungo periodo senza guerre dalla caduta dell’impero romano),   benessere, cultura e civiltà. 
Unione Europea
Robert Shuman
La sua dichiarazione del 9 maggio 1949
diede origine alla Costruzione Europea

L’Europa dei nostri giorni nasce il 9 maggio 1949 quando Robert Schuman  invita (appena quattro anni dopo gli orrori della seconda guerra mondiale) a porre le basi per la creazione di una graduale integrazione tra i vari Stati europei (i nemici di ieri), indispensabile per il mantenimento della pace in Europa e per il superamento degli attriti secolari che tanta distruzione avevano causato a tutta l’Europa.

Nell’antichità, per Europa si intendeva la Grecia, vale a dire l’occidente rispetto ai grandi imperi del tempo, che già Erodoto, nel V secolo a.C., identifica con l’insieme dei paesi minacciati dall’espansionismo persiano che, nel primo “scontro di civiltà”, sarà fermato a Maratona (490 a.C.) e dieci anni più  tardi alle Termopili e a Salamina.
Forse è da lì che nasce la meravigliosa avventura dell’Europa che, forte della Cultura di Atene, successivamente si fonderà nella Grandezza di Roma (che la forgerà con il  Diritto e con l’Organizzazione), arricchendosi, da ultimo, del cristianesimo ove le virtù dei ‘cives romani’ si integrano con i valori trascendenti ed universalistici propri di questa religione.
Il divinire dell’Europa, non sempre agevole, attraversò anche periodi involutivi. Ma poi tornò potente (a volte prepotente) e riprese le sue straordinarie capacità creative, irradiando il mondo intero della sua luce di Cultura, di Arte, di Scienza, di Pensiero, di Umanità. 
Il processo non si è rivelato semplice né agevole, ma il risultato odierno è una Realtà che ha garantito la pace a due intere generazioni che non hanno conosciuto la guerra, una Unione di 500 milioni di persone, con un Pil di quasi 13mila miliardi di euro  (che ne fanno la prima economia al mondo), con una struttura industriale di prim’ordine e una produzione di servizi sofisticati e moderni che riescono a coprire un terzo del commercio mondiale di beni e servizi.
Certo molto resta da fare, ad esempio nel campo della solidarietà nei confronti delle aree meno avvantaggiate o in difficoltà e perfino nei confronti di regioni contigue e popolazioni vicine. Ma è indubbia la grandezza della nostra Europa, della sua Cultura e delle sue realizzazioni. Talmente Grande da meritare il Premio Nobel! 


mercoledì 26 settembre 2012

Il Governo dei Banchieri


Sovente il Governo Monti viene definito “governo dei banchieri”, certamente a causa di qualche  misura adottata dall’Esecutivo, ritenuta piuttosto “sensibile” nei  riguardi di taluni interessi propri del mondo delle banche,  ma soprattutto per le esperienze importanti maturate nel sistema bancario italiano ed internazionale da parte di diversi membri del Gabinetto. 

Il Gabinetto Monti
Lo stesso presidente Mario Monti ha collaborato con la Goldman Sachs, il Ministro per lo Sviluppo Economico Corrado Passera ha dedicato energie importanti alla Banca Intesa San Paolo, la medesima banca ove, fino al giorno della nomina a Ministro del Lavoro, ha seduto quale vice presidente del Consiglio di Sorveglianza anche Elsa Fornero. Inoltre, anche il Ministro dell’Economia Vittorio Grilli ha avuto un passaggio al Credit Suisse, mentre vanta un’esperienza in Unicredit il Ministro per gli Affari Regionali Piero Gnudi, per concludere con i numerosi incarichi ricoperti in diverse istituzioni bancarie italiane dal Ministro per i Rapporti col Parlamento Piero Giarda.
Al di là di un forse non secondario aspetto lessicale,  non sembra esser questo il punto. L’Italia ha eccelso per secoli nel mondo bancario, anzi è condivisa l’idea che la banca moderna sia un’invenzione italiana (toscana o veneziana?) e straordinarie sono state alcune famiglie di banchieri: quella dei Medici di Firenze sopra tutte.
I Medici governarono buona parte della Toscana per ben oltre due secoli. A volte eccedettero in dispotismo (secondo i modelli del tempo) ma certamente con un effetto “illuminato” per Firenze. Godettero di un forte sostegno popolare (per due volte, a causa di  guerre intestine, furono espulsi da Firenze e per due volte vi rientrarono da vincitori),  donarono alla Città  benessere e sviluppo, furono mecenati di arte e cultura. 
Lorenzo il Magnifico
I Medici seppero coniugare un saggio esercizio del potere ed uno straordinario sviluppo economico con un ancora ineguagliato primato nell’arte e nella cultura, facendo della Firenze del loro tempo la culla del Rinascimento, riuscendo ad apportare prestigio economico e culturale alla città che, infatti, divenne meta assai ambita di artisti di ogni campo, sempre di valore assoluto.
Benozzo Gozzoli ritrae gli esponenti della famiglia Medici nel “Viaggio dei Magi”, sontuoso ciclo di affreschi nella cappella del Palazzo nuovo di via Larga: travestiti da Magi, cavalcano fieri e lenti attraverso l’originario Mugello,  rappresentando e indicando il loro stretto legame con il territorio e l’impegno per il buon governo.
Lorenzo il Magnifico - le cui doti di equilibrio e saggezza ne fecero il punto di riferimento dell’equilibrio italiano di quegli anni turbolenti - è forse il rappresentante del Medici più noto, ma la famiglia ha espresso ben due Papi (Leone X, figlio proprio di Lorenzo il Magnifico, e Clemente VII, pronipote dello stesso Lorenzo), donne quali Caterina (“la donna più colta dell’Europa del suo tempo”, quella che fece celebrare un Te Deum di ringraziamento dopo l’eccidio della “notte di San Bartolomeo”) che fu moglie di un re di Francia e madre di ben tre re di Francia e, poi, innumerevoli cardinali, uomini d’arme (Giovanni dalle Bande Nere), e tanti banchieri, mercanti ed imprenditori che hanno fatto grande l’Italia e segnato per davvero la loro epoca.
Appare, dunque, impropria l’equiparazione del governo dei nostri grigi giorni ad esempi ancora ineguagliati di primati in ciascun campo. Non si capisce chi possa esser il Lorenzo il Magnifico, e nemmeno la Caterina o il Giovanni dei nostri giorni. E, forse, non solo per la mancanza di un ciclo di affreschi alla Benozzo Gozzoli…



domenica 24 giugno 2012

Libero Pensatore


Si racconta che Albert Einstein, alla richiesta di specificare la razza di appartenenza necessaria per la compilazione di un modulo per l’ingresso in un certo paese, abbia semplicemente risposto: “umana”.
La vicenda mi torna regolarmente alla mente quando sono chiamato a rinnovare il visto di permanenza in un paese che ammiro molto sotto numerosi punti di vista. La modulistica da riempire, semplice ma non essenziale, infatti, chiede di precisare la razza di appartenenza (da piccolo, molto piccolo emulo di Einstein anche io scrivo “umana”). La domanda successiva dello stesso modulo chiede di specificare la religione professata, fornendo ben undici alternative di religioni comunemente conosciute e praticate. Non è prevista la voce “altra” ma a fianco a cristiano, buddista, induista, musulmano, etc. offre la casella “free thinker”, libero pensatore, proprio come se il libero pensiero fosse una religione.
Michelangelo: Particolare della creazione di Adamo
Certo non è semplice definire una religione e ancor meno lo deve esser stato per il funzionario che ha predisposto il modulo. Forse può essere agevole pervenire a una definizione dell’orientamento del pensiero e perfino a una accettabile spiegazione sulle origini del mondo e dell’uomo per un “libero pensatore”. Ma quando si giunge ai simboli, ai riti o anche alla forma artistica che la “religione” del libero pensatore assume, diviene difficile, forse impossibile, catalogare appunto come religione il pensiero libero che, per sua natura, dovrebbe esser scevro da dogmi e schemi.
Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro me
Epitaffio della tomba di Immanuel Kant
Mi ha aiutato nella riflessione John, una persona “semplice”, un conducente di taxi, al quale domandavo cosa rappresentasse la statuina dorata ben attaccata sul cruscotto della sua autovettura. “Questo taxi non è mio” - mi ha detto - ma deve trattarsi di una divinità induista”.  “Io non ho una vera religione - ha proseguito - e non sono un free thinker”.   “E il free thinker non esiste! Vorrei chiedere a chi si proclama tale se ha mai paura, se il buio non lo spaventa, se il dolore non lo angoscia, se l’idea della morte lo lascia sereno. No, è tremendamente difficile essere un vero free thinker”.
John si presenta come una persona semplice, certamente non l’espressione tipica della opulenta città che ha catalogato il “free thinker” tra le religioni. Ma John è un saggio vero, grande, nella sua comprensione della piccolezza dell’essere umano. 

lunedì 18 giugno 2012

Azzurri o Bianchi ?


Tempo di Europei, di campionato Europeo di calcio. Quindi, speriamo il più a lungo possibile, tempo di Azzurri. Già, Azzurri. E perché mai?
In verità il colore della maglia della nostra nazionale di calcio è  divenuto azzurro solo in un secondo momento, mentre precedentemente la casacca ufficiale era bianca, con lo scudetto dei Savoia , ora sostituito dallo scudetto tricolore.
Gli Azzurri Campioni del Mondo a Berlino nel 2006
Il giorno della Befana del 1911, era previsto un importante incontro contro l’Ungheria (all’epoca con la squadra austriaca, faro del calcio internazionale) la cui divisa prevedeva la maglietta bianca, proprio come quella dell’Italia. Nel calcio, quando le magliette sono uguali o almeno simili,  per una forma di cortesia nei confronti degli ospiti, la squadra padrone di casa cambia la propria maglietta, lasciando indossare alla squadra ospite la propria casacca tradizionale.
Quel pomeriggio di venerdì  6 gennaio di oltre un secolo fa si pose quindi la questione su quale maglietta indossare, su quali potessero esser i nuovi colori da adottare. La scelta non fu semplice, ma cadde sull’azzurro dello stendardo di casa Savoia, la casa reale dell’Italia di quei giorni.
Avvenne all’arena di Milano, perdemmo 0-1, gol di Schlosser al 22 del primo tempo.


domenica 27 maggio 2012

L’Ultima Religione


Lo ammetto: non è stato agevole, per me romanista, assistere alla (bella) partita tra la nazionale Indonesiana e l’Inter, la mitica F.C. Internazionale.
Oronzo Pugliese, iconico allenatore degli anni '60
Sono diventato romanista a meno di dieci anni, quando mio padre mi presentò, in casa di amici, un signore che subito si era dimostrato affettuoso nei miei confronti: Oronzo Pugliese, iconico allenatore di calcio degli anni ’60, quello che con un “piccolo” Foggia, il 31 gennaio 1965, inflisse una “storica” sconfitta all’Inter campione del Mondo del “Mago” Helenio Herrera (io c’ero: 3 a 2, gol di Lazzotti e doppietta di Cosimo Nocera per annullare i gol di Peirò e Suarez!). Peraltro, non molti sanno che tale vittoria, in mattinata, era stata preannunciata a Helenio Herrera da Padre Pio: “oggi a Foggia perderete , ma poi vincerete il campionato”.
Oronzo Pugliese, profeta ante litteram del calcio moderno, poco dopo l’incontro che mi folgorò, lasciò il Foggia delle meraviglie per approdare alla Roma - non ancora “magggica” - determinando l’avvio della mia condizione di tifoso della Roma.
E come può esser dura la condizione del tifoso, pronto ad esaltarsi per una vittoria, magari striminzita ma di alto valore simbolico, poi afflitto da depressione nel caso di sconfitta, soprattutto se cocente non per il risultato ma per l’autore del ‘maltolto’.
Yanto, giovane professionista indonesiano
tifoso interista da quattordici anni

E poi i riti, le beffe, le gioie, le amarezze, le consolazioni, le vittorie! Chi non vive la condizione del tifoso non riesce a comprendere i turbamenti profondi o i momenti di elevata esaltazione che la propria Squadra riesce a donare o infliggere. “Cambia squadra!” mi suggeriva una persona a me cara quando mi vedeva triste dopo una sconfitta, dimostrando in tale affettuosa consolazione tutta la propria lontananza dall’essere del tifoso. E ho rivisto l’essenza del tifoso in Yanto, proprio nello stadio Bung Karno di Jakarta durante la partita Indonesia Inter. Yanto, un giovane professionista indonesiano, fervente tifoso nerazzurro (chissà poi perché, lui di Jakarta, tifoso dell’Inter da oltre 14 anni). Era allo stadio con il perfetto armamentario del supporter: maglietta (di Zanetti), sciarpa, cappello nerazzurro a bombetta, perfetta conoscenza di cori e gesti e, soprattutto, di ogni giocatore (nome e cognome, numero di maglia, esperienze più recenti, etc.). 
La "Curva" interista allo stadio Bung Karno di Jakarta
 Aveva il sogno di incontrare di persona alcuni calciatori, ma sopratutto Milito, ed era andato al mattino nell’albergo ove la squadra era scesa. Aveva preso la colazione proprio lì nella speranza di incontrare i suoi beniamini che, invece, conducevano vita “appartata”, relegati in due piani dell’albergo stesso. Ma un addetto alla sicurezza gli aveva suggerito di provare alla pasticceria ove Milito avrebbe poco dopo acquistato dei dolci. E, infatti, l’incontro è avvenuto, ma senza ottenere l’agognato autografo. Yanto soffriva allo stadio, si sgolava con i cori in perfetto italiano, non sopportava che l’Inter soffrisse l’Indonesia, la nazionale, dopo tutto, del suo Paese (e, a differenza della gran parte degli spettatori, me compreso, non ha esulato ai due gol dell’Indonesia!). Ma poi ecco finalmente le doppiette di Coutinho e di Pazzini, ma non il gol del “suo” Milito. Comunque l’Inter trionfa 4 a 2! Yanto mi esprime tutta la sua felicità: Yes, I am happy!!!
Certo la nostra epoca presenta a volte aspetti di vera schizofrenia: ci vantiamo della flessibilità massima, siamo orgogliosi del nostro esser ghibellini e alieni dai credi, riusciamo a cambiare lavoro, moglie o marito e perfino sesso, paese di residenza, lingua e religione, seguiamo le mode più disparate, i costumi più inusuali, l’abbigliamento più inverosimile, etc. etc. etc. Ma poi restiamo intrinsecamente attaccati alla nostra squadra di calcio, il nostro totem, l’essenza della nostra intima certezza!
Nel nostro mondo laico, davvero l’ultima religione.


domenica 13 maggio 2012

Un Tesoriere Illustre ma Misterioso

È difficile credere che Umberto Eco, nello scrivere “Il Cimitero di Praga”, abbia pensato a Belsito oppure a Lusi, moderni tesorieri di partito. Eppure, nel suo romanzo, Eco si occupa anche di un tesoriere illustre: Ippolito Nievo, il cassiere della Spedizione dei Mille.
Ippolito Nievo
Tesoriere della Spedizione dei Mille
Sulla missione garibaldina è stato detto di tutto. Taluni ritengono che il regno del Piemonte, di là dalle posizioni ufficiali, fosse in realtà assai coinvolto nella vicenda, anche dal punto di vista finanziario. Altri sostengono che il principale appoggio sia venuto dagli inglesi, con un finanziamento importante in Piastre Turche (anche allora si voleva evitare la “tracciabilità”), stante l’obiettivo di evitare che la penisola italiana divenisse mera espressione degli interessi francesi. Il Ministro Disraeli aveva tuonato alla Camera dei Comuni: "Se le acque dell'Adriatico venissero turbate, l'agitazione si estenderà sul Reno, e l'Inghilterra sarebbe forzata a sguainare la spada, non solo per motivi di civiltà, ma anche d'interesse".
Sta di fatto che al culmine delle pressioni su Garibaldi per indurlo a dimostrare la limpidezza dell’organizzazione della sua Spedizione, il Generale chiese al tesoriere Ippolito Nievo (quello de “Le confessioni di un Italiano”) di raccogliere tutta la documentazione in due casse che, con lo stesso Nievo, furono imbarcate sul piroscafo “Ercole” a Palermo con destinazione Napoli.
Alle ore 12.55 del 4 marzo 1861, al comando del capitano Michele Mancino, la “Ercole” salpò con 12 uomini di equipaggio, 60 passeggeri, 232 tonnellate di merce. Il mare era calmo, ma alle 5 del mattino successivo la “Ercole” si trovò in piena burrasca. Una nave inglese che seguiva intravide il piroscafo sul punto di inabissarsi e riportò sul libro di bordo: "Avvistato relitto vapore alla deriva a 150 miglia da Palermo su rotta Palermo-Napoli".
Moneta da 500 Piastre Turche del XIX Secolo
Alcuni storici sostengono che gli inglesi abbiano finanziato
la Spedizione dei Mille con tre milioni di Franchi elergiti in Piastre turche
Vi furono indagini, ricerche, polemiche, perfino un'inchiesta ministeriale: non si riuscì a far luce sul mistero. Fu solo possibile stabilire che l'"Ercole" affondò, presumibilmente tra Punta Campanella e le piccole Bocche di Capri, per lo scoppio delle caldaie. Tuttavia, non un naufrago né un resto dell’imbarcazione furono mai rinvenuti, alimentando il mistero attorno a questo primo enigma dell’Italia riunificata.
Tale mistero, tuttavia, era destinato a suscitare molti interessi. Nel 1868, Giulio Di Vita, uno studioso massone, presenta un rapporto al Collegio Maestri Venerabili del Piemonte dal titolo ‘Finanziamento della spedizione dei Mille’. Di Vita riferisce di documenti rinvenuti in archivi londinesi che attestavano finanziamenti dei britannici a Garibaldi per 3 milioni di franchi francesi, versati in ‘piastre’ oro turche: una cifra enorme, utile per “convertire alla democrazia liberale” molti dignitari borbonici. Si dice, infatti, che la capitolazione di Palermo sia avvenuta grazie all’oro versato al generale Lanza. Innegabile che un manipolo di uomini sbarcati a Marsala mise in fuga 100mila uomini al prezzo di soli 78 caduti. E neppure sfuggiva la forte influenza inglese su Marsala, ove avvenne lo sbarco garibaldino sotto la vigile presenza di navi militari britanniche, oppure la “coincidenza” della firma della resa della Sicilia siglata, nel porto di Palermo, a bordo di una nave battente bandiera inglese.
Capri vista da Punta Campanella
In queste acque sarebbe avvenuto il naufragio della "Ercole"
Cento anni più tardi, quando le poste italiane emisero un francobollo commemorativo di Ippolito Nievo, il nipote Stanislao decise di riprendere le ricerche per chiarire il mistero che lo assillava da anni. Dell'"Ercole" non è stato trovato mai nulla: né un naufrago, né un albero, né un pezzo di legno, né altro relitto. Stanislao frugò per otto lunghi anni negli archivi delle emeroteche, nei musei, si affidò alla parapsicologia per esplorare il buio del passato, spinse illustri esperti di profondità marine nell'oscurità degli abissi in cui si presumeva riposasse la carcassa dell'"Ercole". Il risultato di tanta appassionata fatica fu un naufragio non meno avventuroso di quello dell'"Ercole". All’Archivio di Stato Stanislao rinvenne 500 fascicoli che riguardano la Spedizione dei Mille, ma non quello che cercava. La cartella intestata al ‘colonnello Nievo’ è semplicemente vuota!
Il risultato massimo degli sforzi di Stanislao fu “Il prato in fondo al mare”, un romanzo sul tema, pubblicato nel 1974 da Mondadori. Il primo segreto dell’Italia riunita rimane tuttora un mistero.




sabato 7 aprile 2012

MONIKA E ANTONIO

È trascorso da poco - lo scorso 17 marzo - il ventesimo anniversario della scomparsa di Monika Mann, quarta dei sei figli del premio Nobel Thomas. Tutti conoscono i capolavori del grande scrittore tedesco e molti apprezzano anche le opere di Monika. Non tanti, invece, sono a conoscenza dell’Amore che Monika nutriva per Capri e, soprattutto, per Antonio.
Monika, nata a Monaco di Baviera nel giugno 1910, aveva un rapporto piuttosto conflittuale col padre, il cui diario contiene varie espressioni non lusinghiere per Monika. Ella, tuttavia, sosteneva di non averlo mai letto, perché “mi parrebbe troppo indiscreto” conoscere i suoi segreti.

Monika Mann
 trascorse una parte importante della sua vita a Capri
Amò molto l’Italia e, nel 1934, si trasferì a Firenze per coltivare la sua inclinazione verso la musica. Qui incontrò Jenö Lányi, uno storico dell’arte ebreo ungherese che, a seguito delle leggi razziali del ‘38, si trasferì in Inghilterra, ove Monika lo seguì e lo sposò nel ’39. Ma quando la coppia decise di trasferirsi in Canada e si imbarcò sulla “City of Benares”, questa nave fu affondata dagli U-Boot tedeschi. Jenö annegò (Monika ricordava di averlo sentito chiamarla per tre volte prima di esser inghiottito per sempre dalle onde) mentre la giovane moglie passò venti ore su una minuscola scialuppa, prima di esser soccorsa da una nave militare inglese che riportò i naufraghi in Scozia.

In seguito Monika raggiunse i genitori negli Stati Uniti e cominciò a scrivere, ma riemersero gli antichi dissapori. Così, quando alla fine della guerra la famiglia rientrò in Europa, alla severità di Zurigo, scelta dai propri familiari, Monika preferì l’Italia: Firenze prima (da dove sarebbe stata “cacciata” da due topi che entrarono nella sua stanza) poi, esclusa la “troppo rumorosa” Roma, accettò un invito di certi amici a Capri. Doveva esser una vacanza…
L’incontro fatale avvenne il 2 dicembre 1953: Monika era “mortalmente stanca degli intellettuali” (vedova di uno storico dell’arte, aveva avuto l’opportunità di conoscere e frequentare gli artisti e gli scrittori più brillanti) e stanca anche della vita cosmopolita (aveva quarantatre anni e aveva vissuto in Germania, in Francia, in Italia, in Inghilterra, in America e in Svizzera). Cercava pace, diceva lei stessa, s’innamorò di Antonio Spadaro, pescatore e muratore caprese, ”sensibile, saggio, profondo. Che capiva".
Villa Monacone, guarda sui Faraglioni
Per oltre trenta anni fu il nido d'amore di Monika e Antonio
Vissero oltre trent’anni nella casa del Monacone, una villa affacciata sui Faraglioni, costruita da Ciro, padre di Antonio. Monika divenne una perfetta moglie caprese, attenta alla casa e affettuosa cuoca per il suo Antonio. Nel pomeriggio lo aiutava a servire i clienti del loro bar o a vendere i piccoli oggetti in terracotta che Antonio stesso realizzava o i velieri in miniatura, nella cui costruzione egli eccelleva. La sera, mentre lei ascoltava musica classica, Antonio si appisolava in poltrona, poi Monika leggeva o scriveva e Antonio dormiva.

Sebbene dedicata a lui ("Fur Toni"), Antonio non lesse mai Vergangenes und Gegenwärtiges, "Passato e presente", la più importante opera di Monika Mann, essendo scritta in tedesco e mai tradotta in italiano. Anzi, per leggere “Guerra e Pace”, ricordava Monika, ci son voluti quasi trent’anni.
Raccontano che lui la chiamasse "Signora", forse nella convinzione di una qualche ‘superiorità’ di lei. Chissà, forse è questa la ragione per la quale non si sposarono mai, sebbene Monika sosteneva che "ci si sposa una sola volta nella vita".
Antonio morì nel 1985 e Monika non volle più restare a Capri. Si trasferì nella vecchia casa dei genitori a Kilchberg, non lontano da Zurigo, ove morì 17 marzo 1992.