domenica 27 maggio 2012

L’Ultima Religione


Lo ammetto: non è stato agevole, per me romanista, assistere alla (bella) partita tra la nazionale Indonesiana e l’Inter, la mitica F.C. Internazionale.
Oronzo Pugliese, iconico allenatore degli anni '60
Sono diventato romanista a meno di dieci anni, quando mio padre mi presentò, in casa di amici, un signore che subito si era dimostrato affettuoso nei miei confronti: Oronzo Pugliese, iconico allenatore di calcio degli anni ’60, quello che con un “piccolo” Foggia, il 31 gennaio 1965, inflisse una “storica” sconfitta all’Inter campione del Mondo del “Mago” Helenio Herrera (io c’ero: 3 a 2, gol di Lazzotti e doppietta di Cosimo Nocera per annullare i gol di Peirò e Suarez!). Peraltro, non molti sanno che tale vittoria, in mattinata, era stata preannunciata a Helenio Herrera da Padre Pio: “oggi a Foggia perderete , ma poi vincerete il campionato”.
Oronzo Pugliese, profeta ante litteram del calcio moderno, poco dopo l’incontro che mi folgorò, lasciò il Foggia delle meraviglie per approdare alla Roma - non ancora “magggica” - determinando l’avvio della mia condizione di tifoso della Roma.
E come può esser dura la condizione del tifoso, pronto ad esaltarsi per una vittoria, magari striminzita ma di alto valore simbolico, poi afflitto da depressione nel caso di sconfitta, soprattutto se cocente non per il risultato ma per l’autore del ‘maltolto’.
Yanto, giovane professionista indonesiano
tifoso interista da quattordici anni

E poi i riti, le beffe, le gioie, le amarezze, le consolazioni, le vittorie! Chi non vive la condizione del tifoso non riesce a comprendere i turbamenti profondi o i momenti di elevata esaltazione che la propria Squadra riesce a donare o infliggere. “Cambia squadra!” mi suggeriva una persona a me cara quando mi vedeva triste dopo una sconfitta, dimostrando in tale affettuosa consolazione tutta la propria lontananza dall’essere del tifoso. E ho rivisto l’essenza del tifoso in Yanto, proprio nello stadio Bung Karno di Jakarta durante la partita Indonesia Inter. Yanto, un giovane professionista indonesiano, fervente tifoso nerazzurro (chissà poi perché, lui di Jakarta, tifoso dell’Inter da oltre 14 anni). Era allo stadio con il perfetto armamentario del supporter: maglietta (di Zanetti), sciarpa, cappello nerazzurro a bombetta, perfetta conoscenza di cori e gesti e, soprattutto, di ogni giocatore (nome e cognome, numero di maglia, esperienze più recenti, etc.). 
La "Curva" interista allo stadio Bung Karno di Jakarta
 Aveva il sogno di incontrare di persona alcuni calciatori, ma sopratutto Milito, ed era andato al mattino nell’albergo ove la squadra era scesa. Aveva preso la colazione proprio lì nella speranza di incontrare i suoi beniamini che, invece, conducevano vita “appartata”, relegati in due piani dell’albergo stesso. Ma un addetto alla sicurezza gli aveva suggerito di provare alla pasticceria ove Milito avrebbe poco dopo acquistato dei dolci. E, infatti, l’incontro è avvenuto, ma senza ottenere l’agognato autografo. Yanto soffriva allo stadio, si sgolava con i cori in perfetto italiano, non sopportava che l’Inter soffrisse l’Indonesia, la nazionale, dopo tutto, del suo Paese (e, a differenza della gran parte degli spettatori, me compreso, non ha esulato ai due gol dell’Indonesia!). Ma poi ecco finalmente le doppiette di Coutinho e di Pazzini, ma non il gol del “suo” Milito. Comunque l’Inter trionfa 4 a 2! Yanto mi esprime tutta la sua felicità: Yes, I am happy!!!
Certo la nostra epoca presenta a volte aspetti di vera schizofrenia: ci vantiamo della flessibilità massima, siamo orgogliosi del nostro esser ghibellini e alieni dai credi, riusciamo a cambiare lavoro, moglie o marito e perfino sesso, paese di residenza, lingua e religione, seguiamo le mode più disparate, i costumi più inusuali, l’abbigliamento più inverosimile, etc. etc. etc. Ma poi restiamo intrinsecamente attaccati alla nostra squadra di calcio, il nostro totem, l’essenza della nostra intima certezza!
Nel nostro mondo laico, davvero l’ultima religione.


5 commenti:

Federico Muzio ha detto...

Da non amante del calcio, confesso che una volta, nell'ormai lontano 2000, quando mi trovavo nella Sierra Nevada de Santa Marta in Colombia, alla ricerca della Ciudad Perdida, la nazionalità italiana ed un'infarinatura sul mondo del calcio mi salvarono letteralmente la vita.
Un incontro nella più remota foresta pluviale con un gruppo di paramilitari mandati dal governo a caccia di guerriglieri del FARC, e ormai in giro in una spirale di violenza a ruota libera, si è trasformato da un inizio con mitragliatori puntati ad altezza testa ad una scorta gioviale in uno dei più straordinari ed incontaminati ecosistemi del continente sudamericano.
Che dire, a volte il calcio può essere oltre che una religione anche un lasciapassare...

Anonimo ha detto...

Caro Massimiliano,

il calcio è una fede, talvolta una malattia che ti colpisce da piccolo e non ti lascia. Si possono cambiare opinioni politiche, gusti alimentari, abitudini sessuali, ma la fede calcistica rimane, soprattutto se indirizzata alla Magica. Ciao, Romeo

Anonimo ha detto...

Caro Dottore, i suoi Blog, sono sempre una cosa sublime,......posseggono la leggerezza, la serenitá , la saggezza e l´amore, paragonabile alla PIUMA di FORREST GUMP, che inizia e termina il film. Mi esce dal cuore.....di vecchio Interista....una solo commento....la forza e la purezza dell´innocenza.

Spero di poterla vedere presto di nuovo nella citta del Leone, la mia favoritá...come sempre.

Un caro saluto
Mauro

Anonimo ha detto...

Gent.mo Dott. Sponzilli,
La ringrazio per questa lettera di malato di febbre calcistica. E' una ventata di freschezza in questa rigida burocrazia. Io non ho la febbre, ma sono Juventina. Mi scusi.
Buona giornata
Giovanna

Anonimo ha detto...

Complimenti!
Molto bello e ...vero
Un caro saluto
Francesco