sabato 29 maggio 2010

Viri e Bamboccioni

Nel Regno Unito li chiamano “kippers”, un quasi-acronimo che sta per ‘kids in parent’s pockets’, figli che erodono i risparmi di una vita. In Canada, invece, sono i “boomerang”, figli che ‘ritornano’, mentre negli Stati Uniti sono i “twixters”, figli che tornano al ‘nido’ mescolando l’adolescenza con l’età adulta. In Francia, invece, come il ventottenne protagonista del film che rifiutava di andar via di casa, li chiamano Tanguy. In Italia, emuli dell’allora Ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, dal 4 ottobre 2007 li chiamiamo “bamboccioni”.

In maniera professorale sono denominati NEETs (not in education, employment or training) e stanno diventando una ‘patalogia’ globale. Secondo l’annuale rapporto dell'Istat, in Italia coloro che ‘non fanno nulla’ sono oltre 2 milioni (primato europeo!) ed hanno un'età compresa tra i 15 e 29 anni (il 21,2% di questa fascia di età), sono prevalentemente maschi e a rischio esclusione.
Sebbene sia costante l’attitudine di considerare la gioventù del presente peggiore di quella precedente, non può esser addossata ad una intera generazione la responsabilità di un disagio e di una difficoltà così grande. Ciò che caratterizza la gioventù dei nostri giorni è il vivere in una dimensione di profonda incertezza, rispetto ai valori, ai modelli, allo stesso futuro. I giovani si trovano consapevolmente nel bel mezzo di un percorso e il più delle volte, non sanno verso quale meta sono diretti, dibattendosi in un doloroso e totale precariato, anche questo globale. Certamente, tuttavia, non per loro colpa o scelta.
Presso i Romani, il passaggio all’età adulta avveniva a 17 anni, celebrato con una importante cerimonia in occasione della festa del dio Liber, detta Liberalia, che cadeva il 17 marzo. I giovani smettevano gli abiti giovanili ed indossavano la toga virile, divenendo così cittadini a tutti gli effetti, pronti a divenire oratori, soldati, magistrati o anche sacerdoti. I più ambiziosi partivano volontari nell’esercito per effettuare le dieci campagne militari necessarie per potere intraprendere la carriera politica.

Della delicatezza di tale passaggio, si occupa anche Plutarco quando ammonisce: ”ci sono giovani che nell’atto stesso di deporre la toga puerile, depongono anche ogni senso di pudore e di rispetto, riempendosi subito di sregolatezza. Il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta non significa non avere più un’autorità a cui sottostare, ma semplicemente cambiarla, perché al posto di una persona stipendiata assumi a guida divina dell’esistenza la tua stessa ragione”.
Ecco il punto. Dov’è il Plutarco dei nostri giorni?

 
Nelle immagini: la locandina del Film Tanguy  (2001) e Lucius Mestrius Plutarchus (46 – 120)
 
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domenica 23 maggio 2010

A Favore di un Mezzogiorno Decaduto

Con sobrietà, quasi in sordina, hanno avuto inizio le celebrazioni del 150˚ anniversario dell’Unità d’Italia. Restano, tuttavia, ancora numerose le voci dissonanti e appaiono distanti le analisi sul processo di unificazione e sui suoi stessi risultati.
Nella realtà storica, la spedizione dei Mille di Garibaldi forzò totalmente la situazione, presentando a Cavour l’opportunità di offrire ai Savoia il regno d’Italia e non della sola padania come, invece, previsto dagli accordi segreti di Plombières negoziati dallo stesso Cavour con Napoleone III.
Ma il Mezzogiorno, prima di Garibaldi, era davvero la ‘negazione di Dio in terra’, come ebbe a scrivere Gladstone?
Giuseppe Garibaldi giunse a Napoli, in treno, verso le ore 13 del 7 settembre 1860 ove fu accolto dagli “oppositori” dei Borbone. Alla testa del corteo che seguiva la sua carrozza si trovavano i capi della camorra (“Tore ‘e Criscenzio”, Jossa, Capuano, Mele), seguiti dalla tavernaia Marianna De Crescenzo, detta la “Sangiovannara” a favore della quale Garibaldi decreterà una pensione di dodici ducati al mese, accompagnata dalle prostitute “Rosa ‘a pazza”, “Luisella ‘a lum a ‘ggiorno” e “Nannarella ‘e quatt’rane”.

Ma questa era l’'opposizione'. Il Regno dei Borbone, per contro, aveva offerto all’umanità il genio di Gianbattista Vico, l’acume di Ferdinando Galiani, il barocco di Domenico Scarlatti. Inoltre, esso vantava rilevanti eccellenze. In soli 270 giorni, 41 anni prima della Scala e 51 prima della Fenice, era stato costruito il teatro San Carlo. All’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856 il Regno delle Due Sicilie era stato riconosciuto quale terzo Paese più industrializzato al mondo. La prima ferrovia in Italia (Napoli-Portici, 1839) offriva biglietti ridotti ai cittadini meno abbienti, «alle persone di giacca e coppola, alle donne senza cappello, ai domestici in livrea ed ai soldati e bassi ufficiali del real esercito». Ma con i Borbone furono anche realizzate, nel 1839, la prima illuminazione a gas in Italia e, nel 1858, la prima galleria ferroviaria al mondo.

Il Mezzogiorno vantava anche rilevanti industrie, come l’impianto metalmeccanico di Pietrarsa, che impiegava circa duemila operai, o i cantieri navali di Castellammare che vararono il primo battello a vapore con propulsione ad elica, il “Giglio delle Onde”.
Infine, era rimarchevole la solidità della finanza pubblica. Francesco Saverio Nitti, nel suo “Scienza delle Finanze”, rileva che al momento dell’unificazione d’Italia le riserve del Regno Borbonico ammontavano a 443 milioni di Ducati-oro, pari a quasi il 70% del patrimonio di tutti gli stati pre-unitari messi insieme.
Tuttavia, le politiche di sviluppo economico e perfino le scelte nei progetti infrastrutturali seguite alla riunificazione non furono premianti per il Mezzogiorno. Ed iniziò quel declino e quel processo involutivo culminati nell’odierno assistenzialismo esasperato che ha portato larga parte della popolazione a vivere di prebende e malaffare e facendo sempre più del Mezzogiorno una periferia incompresa, ed anche disprezzata.
Il punto, allora, riconosciuta la realtà storica, è la necessaria identificazione del cosa e del come fare perchè il 150˚ anniversario dell’unità d’Italia divenga l’inizio di un processo di rinascita e valorizzazione del patrimonio morale, culturale e produttivo di una parte significativa del nostro paese che tanto può e merita di esprimere per costruire, in un sano e coerente sviluppo, il benessere delle proprie genti.


Nelle Immagini: Il Teatro San Carlo di Napoli e Pietrarsa, l'impianto metalmeccanico che impiegava 2.000 operai.

sabato 15 maggio 2010

Il “Mattone” Prevale, Fino Ai Guai

Anche la frivola apparenza di un evento mondano può offrire spunti per riflessioni ed approfondimenti. Qualche sera fa, in occasione di un elegante ricevimento di una primaria casa dell’alta moda, sedevo accanto ad una bella signora, di benessere solido ed ottimamente, seppur solo di recente, sposata. Di lei non so molto altro perchè, si sa, alle signore non vanno poste troppe domande.
Si discuteva dell’evoluzione della crisi e delle decisioni migliori da adottare per beneficiare al massimo dei propri risparmi che, nel caso della signora, devono esser piuttosto cospicui.

Con perizia davvero raffinata, l’elegante dama si addentrava nelle varie opzioni sulle diverse piazze asiatiche, discettava sui differenziali di cambio, rifletteva sul corso dell’oro. Io, timidamente, ho ribadito la centralità del “mattone”: noi italiani, le ho detto, consideriamo la casa, il mattone, il bene rifugio per eccellenza, al riparo da ogni sorpresa spiacevole.
Tale tendenza, peraltro, ha trovato singolare conferma anche nei recenti casi di malcostume, emersi a carico di taluni personaggi politici, che hanno accordato la priorità al mattone, magari di quartiere pregiato, ma pur sempre mattone.
Il caso portato alla luce parla di somme importanti che, a metà del 2004, sarebbero state utilizzate per acquisti immobiliari. Quelli erano i mesi della inarrestabile espansione delle borse e del successo di qualunque prodotto finanziario. Quella stessa somma, abilmente gestita da scaltri operatori finanziari, avrebbe potuto raddoppiare o addirittura triplicare in uno o due anni. E invece no: l’italica propensione al mattone ha prevalso, fino ai guai giudiziari di questi giorni!

 

martedì 11 maggio 2010

Per l'Europa

Davvero numerosi i commenti sul Post “Una Celebrazione Oscurata”.
Due per tutti: Carmelo gradisce il “bel pensiero, con un augurio che si possa presto riportare fiducia e coerenza alla straordinaria iniziativa di un mondo senza Guerra. A partire dalla Vecchia Europa!”
Giulio, invece, ricorda che “a scuola, tanti anni fa, ho studiato che Mazzini era un promotore dell'Europa unita, ancor prima che dell'Italia. Nonostante le difficoltà economiche odierne, vedendo in prima linea la mediocrità umana di tanti altri paesi, rimango orgoglioso di essere Italiano ed Europeo !”

 

sabato 8 maggio 2010

Una Celebrazione Oscurata

Il 9 maggio ricorre la Festa dell’Europa. Fu in quel giorno del 1950, infatti, che Robert Schuman, Ministro francese degli Affari Esteri, rese pubblica la sua “Dichiarazione” che, dopo secoli di terribili conflitti e sanguinosissime guerre, diede avvio al processo di integrazione dell’Europa.
Schuman rilevava che "la pace mondiale non potrebbe essere

salvaguardata senza iniziative creative all'altezza dei pericoli che ci minacciano" e proponeva la creazione di una “Alta Autorità” sovrannazionale alla quale affidare la gestione delle materie prime che all'epoca erano il presupposto di qualsiasi potenza militare, il carbone e l'acciaio. Cominciava così la “creazione dell’Europa” che, attraverso numerose ed importanti realizzazioni, ci ha portati fino alla moneta comune, l’Euro.
Pensavo di poter – in verità di dover, considerata la generazione “europeista” alla quale appartengo – ricordare e celebrare il sessantenario della Dichiarazione di Schuman. Ed invece le “turbolenze” di questi giorni obbligano ad occuparsi della “tragedia greca”, funesto presagio del collasso di un intero sistema, con il grave quesito sulla tenuta stessa dell’Unione Monetaria e, perfino, dell’Euro.
Il drammatico rogo della banca di Atene, data alle fiamme quale simbolo del potere finanziario, ben rappresenta il tormento di questi giorni e gli immani capitali ‘bruciati’ nelle diverse piazze finanziarie del mondo intero.                                                         
Paghiamo lo scotto della mancanza di interventi strutturali a seguito della “tempesta” originata dalla crisi del ‘subprime’, mentre le medesime agenzie di rating che attribuivano ‘A’ anche triple a fondi di assoluta inconsistenza oggi emettono giudizi trancianti sulle economie di questo o quel paese, scatenando ansie ed ire, oltre e sopratutto, a non limpide speculazioni sui mercati.
E il dramma è che all’orizzonte non si intravede nessun nuovo Schuman in grado di proporre “iniziative creative all'altezza dei pericoli che ci minacciano”.


Nella foto Robert Schuman (1886-1963)