Chi può dire se ottantacinque anni sono pochi, o molti, per morire? E poi, chi può stabilire una causa giusta per una morte?
Ha mancato l’ottantacinquesimo compleanno per soli tre giorni: infatti, era nato il 9 luglio 1926 e ha rappresentato subito una sfida imponente e prestigiosa. Alberto, suo padre, voleva che il neonato contribuisse alla crescita ma, soprattutto, desiderava che fosse innovativo, che riuscisse ad imprimere una svolta sostanziale e strutturale al modo di essere e costruire un futuro radioso, anche fuori casa.
Alberto Pirelli |
Sin da giovane gli furono attribuiti incarichi importanti e totalmente nuovi, soprattutto per quei tempi. Capace di coniugare la qualità (decenni prima che il tema divenisse patrimonio condiviso) con la ricerca del nuovo, così da superare le impellenti necessità dettate dall’autarchia.
Ma fu il dopoguerra ad imprimergli il fantastico slancio che lo proiettò sulla scena internazionale sulla quale diventò di casa, in paesi e scenari radicalmente nuovi, riuscendo sempre a vincere le sfide dei tempi e in ciascun teatro.
E poi capì e seppe interpretare magicamente, e ben prima di tutti gli altri, le caratteristiche del mondo che cambiava. In quegli anni ‘miracolosi’, grazie a guide illuminate e compagni di viaggio straordinari, trovava la ricetta giusta per ogni situazione e per ogni nuova sfida. Quando lo scenario si fece veramente difficile, s’inventò la pazza idea che sfoggiare il lusso potesse pagare gli acquisti del necessario. Era ammirato e rispettato per la sua autorevolezza!
Poi il mondo cominciò a mutare ancora e una nuova classe - rozza e sbrigativa, in verità – si affacciò sulla scena, portando ‘valori’ nuovi, ruvidi. Lui rimase sempre più solo, altero nella sicurezza che gli derivava dalla sua visione strategica e lungimirante, forte di conoscenza e professionalità che, tuttavia, poco interessavano ai profeti di un “pragmatismo” eccessivo ed anche effimero, maestri di parole belle ma totalmente vuote.
La morte lo ha colto al culmine della solitudine: non era strumentale per i nuovi portatori di interessi invero bassi ed anche volgari, purtroppo gravemente dannosi per tutti. Restano, tuttavia, profonde ed indelebili i suoi saperi e i suoi strumenti, germogli certi per una nuova primavera che, forse non imminente, sarà ineluttabile e necessaria.
La morte lo ha colto al culmine della solitudine: non era strumentale per i nuovi portatori di interessi invero bassi ed anche volgari, purtroppo gravemente dannosi per tutti. Restano, tuttavia, profonde ed indelebili i suoi saperi e i suoi strumenti, germogli certi per una nuova primavera che, forse non imminente, sarà ineluttabile e necessaria.
P.S. Alberto Pirelli, il 9 luglio 1926, fu il primo Presidente dell’Istituto Nazionale Esportazioni INE con la missione di declinare l’esperienza dell’imprenditore a favore del più vasto interesse generale. Dopo la seconda guerra mondiale, l’INE, divenuto Istituto Commercio Estero ICE, si proiettò su tutti i mercati mondiali, nei cinque continenti. Dopo la sede di Amburgo (1930), vennero Londra (1936), Johannesburg (1955), Singapore (1959), Pechino (1965), Lagos (1967) e via via fino ai 115 uffici nel mondo del 2011.
Fondamentale strumento della politica commerciale all’estero, l’ICE attraverso Uomini straordinari ed illuminati professionisti (Gronghi, Vanoni, Merzagora, Massacesi, per non citare che pochi dei suoi presidenti) contribuì grandemente allo sviluppo di positive relazioni commerciali con i nuovi attori che uscivano dalla decolonizzazione e con gli stessi paesi del blocco comunista. L’Ufficio ICE nella Pechino di Mao fu aperto molti anni prima dell’Ambasciata d’Italia e, negli stessi anni, sofisticate tecniche di marketing accompagnavano nei mercati più avanzati dell’Occidente, ma anche dell’Asia, le nostre aziende del lusso (moda, pelletteria, calzature, mobile, gioielleria, etc.), unitamente alle imprese dell’eccellenza meccanica, consentendo così di far fronte alla sempre più esosa bolletta energetica.
Negli anni più recenti, invece di far ricorso ai saperi che derivavano dall’autorevolezza goduta sui mercati internazionali grazie a professionalità e best practices da eccellenza che invitavano a scelte coraggiose e di maggior respiro, l’ICE veniva sempre più soffocato, perché non “strumentale” nel grigio dilagare del rozzo pragmatismo odierno.
Restano, tuttavia, forti e solidi i germogli dei saperi cui, in un futuro forse nemmeno eccessivamente lontano, occorrerà rivolgersi per rendere un servizio vero e reale ad un sistema paese troppo fragile di fronte al mondo pervaso dalla globalizzazione.
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