mercoledì 24 aprile 2013

Questione di Abito

Sembra che ci siamo quasi. Ancora qualche giorno e il Governo che aspettiamo da due mesi - dalle elezioni di fine febbraio e dopo il passaggio, per molti versi drammatico, dell’elezione del “nuovo” Presidente della Repubblica – dovrebbe finalmente veder la luce a breve.
Non sappiamo ancora quanto nuovo esso sarà e neppure se per la sua composizione si farà ricorso, e in quale misura, al cosiddetto ”usato sicuro”, oppure si perverrà a un equilibrio tra le diverse componenti di esperienza e innovazione, di politici e di tecnici. Ma lo sapremo presto.

Winston Churchil con Franklin D.  Roosevelt

Il punto, tuttavia, non è rappresentato dall’abito che il nuovo governo vestirà, quanto piuttosto dalle decisioni che sarà in grado di assumere e dalle scelte e dagli indirizzi che sarà in grado di adottare e perseguire.

Per meglio chiarire tale concetto, ricordiamo una vecchia, ma sempre attuale, storiella, peraltro fondata su verità certe, tanto amata dagli anglosassoni e non solo.
In tempo di elezioni si presentano tre candidati dei quali si conoscono alcune caratteristiche salienti. In particolare, del candidato A si sa che ha un sodalizio felice con politici disonesti, che si consulta regolarmente con un astrologo, che ha avuto almeno due amanti, che è un fumatore accanito e che beve otto o anche dieci cocktail Martini al giorno.
Adolph Hitler
Del Candidato B si sa che in gioventù ha consumato molto oppio, che è stato sollevato ben due volte da incarichi di responsabilità (politica), che usa dormire fino a mezzogiorno e che ogni sera beve fino ad un litro di whisky.
Infine, del Candidato C si sa che è un rigido vegetariano, non fuma, raramente beve una birra e non ha mai tradito la moglie.
Sarà impossibile che tali candidati faranno parte del nascendo governo italiano, tuttavia, per pura informazione, si sappia che il candidato A è Franklin D. Roosevelt, il candidato B è Winston Churchill, il candidato C è Adolph Hitler.
Insomma, una volta di più, non è questione di abito...

sabato 13 aprile 2013

Cent'anni, ma sembra oggi

Ricorre proprio in questi mesi il centesimo anniversario – un secolo – dell’alleanza tra i liberali di Giovanni Giolitti e i cattolici dell’Unione Elettorale Cattolica di Vincenzo Gentiloni.
Agli inizi del ‘900, nonostante fossero passati diversi decenni dalla “presa di Roma”, vigeva ancora il “non expedit” (non è conveniente, non è opportuno) di Pio IX che impediva ai cattolici di partecipare attivamente alla vita politica italiana. Anche quegli anni, tuttavia, erano intensi e complessi tanto che i cattolici vicini a Gentiloni vedevano di buon occhio un’alleanza con i liberali di Giolitti, al fine di contrastare l’avanzata socialista, marxista e anarchica. Lo stesso Pio X sembrava favorevole a tale orientamento che, peraltro, ben si inseriva nel solco da lui stesso tracciato solo pochi anni prima e culminato nella scomunica del “modernismo” attraverso l’enciclica Pascendi dominici gregis.
Giovanni Giolitti
ha dominato la scena politica italiana per quasi trent'anni 
Da parte sua, Giolitti doveva ricambiare ai socialisti l’appoggio ricevuto in occasione della guerra contro la Turchia per la conquista della Libia e, infatti, fece approvare la concessione del suffragio universale maschile, introdotto con una apposita riforma del sistema elettorale: sembrava che ci fossero tutte le premesse perché nelle imminenti elezioni i socialisti di Leonida Bissolati potessero vincere e conquistare il governo del paese.

In tale contesto maturò l’alleanza tra Giolitti e Gentiloni – tra liberali e cattolici – per conservare il governo del paese e bloccare sul nascere ogni ambizione governativa dei socialisti.
Il partito liberale mise a disposizione dei cattolici un numero significativo di collegi “sicuri”. Nel contempo, a Vincenzo Gentiloni fu consentito di verificare che i candidati liberali promettessero di fare propri i valori "irrinunciabili" e, parallelamente, di negare il proprio sostegno a leggi ritenute antitetiche. L’alleanza, peraltro, era facilitata dal sistema elettorale che, basato sull’uninominale maggioritario, affievoliva il vincolo di appartenenza a un partito, consentendo ai candidati di sottoscrivere l’«Eptalogo» - i sette punti irrinunciabili - che permetteva anche ai candidati liberali di assicurarsi il voto cattolico.
Papa Pio X
 favori' l'ingresso dei cattolici nella politica italiana
Ma quali erano tali sette punti da sottoscrivere? La difesa delle garanzie in tema di libertà di coscienza e di associazione; la salvaguardia dell’istruzione privata (cattolica), anche in presenza del pur necessario incremento dell’istruzione pubblica; garanzia dell’insegnamento religioso anche nelle scuole pubbliche; assoluta opposizione al divorzio; uguaglianza delle organizzazioni economiche e sociali, indipendentemente dai principi sociali o religiosi che le ispiravano; graduale riforma degli ordinamenti tributari e di giustizia nei rapporti sociali; politiche di sostegno alle forze economiche atte a incrementare l’influenza italiana sulla scena internazionale.

Il “Patto”, va sottolineato, fu concluso in maniera informale, tanto che, di fronte ad accuse di aver "ceduto" ai cattolici, Giolitti arrivò a negare l’esistenza del patto stesso che, comunque, risultò non accetto tanto alle correnti più liberali dei giolittiani quanto a taluni cattolici, come ad esempio don Sturzo, che ritenevano i tempi ormai maturi per una partecipazione piena dei cattolici alla vita politica attraverso un proprio partito cattolico.
I risultati delle elezioni del 1913 diedero ragione al Patto: i liberali raccolsero il 51 % dei suffragi, vedendo eletti 260 parlamentari, di cui ben 228 avevano sottoscritto l’Eptalogo”. I socialisti videro aumentare la propria rappresentanza parlamentare ottenendo 58 seggi meno, quindi, dei 78 radicali ma più dei 34 cattolici, dei 21 riformisti e dei 5 nazionalisti.
Era nata la “convergenza” tra il movimento risorgimentale e la corrente cattolica: fatti di cento anni fa, ma sembra di leggere i giornali di oggi.