domenica 27 settembre 2009

Il Santo Niňo

Nel suo viaggio alla ricerca di una via per raggiungere l’Oriente da occidente, Ferdinando Magellano giunse a Cebu, nelle odierne Filippine, nella primavera del 1521. Per sugellare l’alleanza stretta attraverso Magellano tra Carlo I di Spagna e il capo dell’isola Raja Humabon, il 14 aprile 1521 Raja Humabon e sua mogle Hara Amihan furono battezzati assumendo i nomi di Carlos e Juana. Per l’occasione Magellano offrì a Hara Amihan-Juana un statua di Gesu Bambino, il Santo Niňo.

Tuttavia, poco dopo scoppiò il conflitto con le tribu della contigua isola di Mactan, ove Magellano trovò la morte, e la spedizione europea riprese il mare verso la Spagna.

Gli spagnoli tornarono nelle Filippine nel febbraio 1565 e a Cebu si insediarono i Baschi di Miguel Lopez de Legazpi (il futuro fondatore di Manila) che il 27 aprile sconfisse Raja Tupas, nipote di Raja Humabon e nuovo capo di Cebu. In una capanna bruciata il soldato Juan Camus ritrovò il Santo Niňo quasi intatto. L’evento fu immediatamente ritenuto miracoloso e sul posto venne eretta una chiesa.

Oggi la Basilica Minore costituisce uno dei luoghi più significativi di Cebu, sopratutto nel mese di gennaio quando, nella terza domenica, viene celebrata la Festa del Santo Niňo a cui si associano i festeggiamenti detti, dal movimento della danza che li accompagna, Sinulog.

Gioiose danze e coloratissimi rituali ricordano il passaggio dall’animismo al cristianesimo e l’intera isola è avvolta in questa gaia atmosfera. I partecipanti indossano abiti coloratissimi e danzano nelle strade al ritmo di tamburi, gong e trombe.

Il Santo Niňo è anche considerato il Patrono delle cause perse, ma più interessante è rilevare le ambiguità suscitate circa il proprio genere, a causa delle fattezze, dell’espressione del viso e della capigliatura del Santo Niňo. Forse sarà anche per le “estroverse” celebrazioni che accompagnano i festeggiamenti, ma è significativo che una immagine del Santo Niňo è presente in ciascuna delle case degli omosessuali credenti delle Filippine.

mercoledì 23 settembre 2009

Onore ai Caduti. Folgore!

Grazie ad internet e non senza commozione, ho potuto assistere in diretta alla cerimonia funebre in onore dei sei Uomini caduti a Kabul!
Mi ha colpito il dolore composto e la fermezza degli intervenuti, in primis, dei figli e delle mogli dei Caduti. Ho apprezzato l’omaggio delle Frecce Tricolori perchè un Paese – una volta si diceva Patria – deve saper onorare con riconoscenza Chi offre la propria vita per Esso (o Essa) !
Mi ha toccato il grido severo, che diveniva urlo, fino a diventare orgoglioso ringraziamento e presenza determinata (alla Basilica di San Paolo, a Kabul, ovunque ce ne sia bisogno) dei militari di oggi e di ieri: Folgore! Mi ha ricordato il grido U – S – A scandito dai pompieri a Ground Zero: lo stesso sgomento, la stessa determinazione a proseguire, nei nostri Valori, il nostro stile di vita che oggi come non mai sembra esser pesantemente sotto attacco.
John F. Kennedy sosteneva che difendere la Patria è una missione difficile, a volte drammatica, che può richiedere il sacrificio della vita. E, concludeva JFK il cui fratello maggiore è caduto nella guerra del Pacifico, ne valeva e ne vale la pena.
Certamente sarà terribilmente difficile per i bambini e per i familiari dei Caduti proseguire il loro cammino della vita e neppure la nobiltà dell’eroismo dei propri Cari, a volte, basterà a render più lieve il loro viaggio.
Resta, però, la gratitudine per il Loro Sacrificio supremo a difesa dei nostri Valori più profondi e dello stesso nostro Mondo che neppure la sguaiata incongruità di taluni personaggi pubblici potrà mai offuscare.

sabato 19 settembre 2009

Mediterraneo

Non è il mare più esotico e non ha nemmeno il fascino della distanza, ma il Mediterraneo è certamente tra i mari più belli al mondo.
Natura, paesaggi, cultura, vita, il Mediterraneo offre tutto questo. E di più!

La Vegetazione



La mia finestra sul Mediterraneo



Il Blu



Al Mare, Al Mare ....



La Roccia scende al Mediterraneo



Etna: Quando la Natura puo' Esser Matrigna



Ma la Vita ricomincia e vince sempre !



Siracusa



Dioniso ci ascolta



Piazza Armerina



Monreale: la ricchezza della diversita' culturale



Sul mare di Sorrento il Ferragosto lo si saluta cosi



... e c'è chi ha bisogno dell'elicottero per andare per mare ......



Un veliero! Salpiamo ......

giovedì 10 settembre 2009

Anniversari

La data dell’11 settembre viene oggi comunemente associata all’immane tragedia dell’attentato alle Torri Gemelle di New York e all’inizio dello “scontro delle civiltà” ben delineato da Samuel Huntington.
Molti di coloro che, invece, hanno almeno la mia età ricordano l’11 settembre del 1973, quando un colpo di stato abbattè Salvatore Allende in Cile.
Un altro 11 settembre (dell’anno 1683) costituisce una data di elevato significato per l’Occidente poichè quel giorno fu travolto l’esercito ottomano che aveva posto l’assedio a Vienna, capitale dell’Impero Asburgico.
Forte di un’armata di 140mila uomini, il Gran Visir Merzifonlu Kara Mustafa Pasha aveva posto l’assedio a Vienna il 14 luglio 1683.
Il sopraggiungere dei rinforzi tedeschi, ma sopratutto della Cavalleria polacca guidata da Giovanni Sobieski, galvanizzò gli assediati e costrinse i turchi all’attacco nel tentativo di interrompere il dispiegamento delle forze che la Lega Santa stava ultimando.
La battaglia ebbe inizio all'alba dell’11 settembre 1683, subito dopo la messa celebrata dal cappuccino Marco d'Aviano. I turchi pagarono l'errore di non essersi preparati a difendersi dalle forze provenienti dal nord, trovandosi con l'élite del loro esercito (i Giannizzeri) schierata presso le mura che erano ancora in piedi.
Nel tardo pomeriggio, dopo aver seguito dalla collina l'andamento dello scontro, 4 divisioni di cavalleria (1 tedesca e 3 polacche) scatenarono l’attacco guidati da Giovanni III Sobieski in persona.
Un cronista turco al seguito degli ottomani così descrive l'arrivo dell'armata del Sobieski
"Gli infedeli spuntarono sui pendii con le loro divisioni come nuvole di un temporale, ricoperti di un metallo blu. Arrivavano con un'ala di fronte ai valacchi e moldavi addossati ad una riva del Danubio e con l'altra ala fino all'estremità delle divisioni tartare, coprivano il monte ed il piano formando un fronte di combattimento simile ad una falce. Era come se si riversasse un torrente di nera pece che soffoca e brucia tutto ciò che gli si para innanzi".

Va sottolineata la rara lungimiranza del Sobieski che portò aiuto incondizionato a Leopoldo d’Austria, nonostante il suo regno fosse drammaticamente impegnato nelle lotte altrettanto crude con i vicini di Svezia e di Russia. Egli aveva compreso che la caduta di Vienna avrebbe spalancato ai turchi le porte di tutta l’Europa, compresa la Francia di Luigi XIV che si ostinava in una politica di neutralità.
Oltre che costituire un momento drammaticamente cruciale per l’Europa, la Battaglia di Vienna ci ha lasciato due eridità di costume: il caffè ed il croissant.
Il primo, fino ad allora poco diffuso in Europa, trovato in quantità notevoli nell’accampamento precipitosamente abbandonato da Kara Mustafa, fu donato da Giovanni Sobieski a Franciszek Jerzy Kulczycki in segno di riconoscenza per le informazioni sulla consistenza e la collocazione delle truppe ottomane. Kulczycky, con il nome germanizzato di Franz Georg Kolschitzky, già nel 1684 aprirà la prima caffetteria viennese, fra le prime in Europa. Oggi la sua Bottega del caffè non esiste più, ma permane il suo nome al quale è intitolata la via che l'ospitava, Kolschitzky-gasse, mentre una sua statua, posta sullo spigolo del palazzo d'angolo della strada stessa, lo ritrae vestito da turco con una caffettiera in mano.
Infine, per celebrare lo scampato pericolo, dopo l’assedio i pasticceri viennesi crearono il croissant, chiamato nel mondo germanico gipfel, cornetto, ispirandosi alle insegne ottomane. Infatti, il francese croissant si traduce in italiano crescente e si presenta come un cornetto.